Regia di Cecil B. DeMille vedi scheda film
"Il programma del Partito Repubblicano del dopoguerra fu quello di giustificare i sacrifici della guerra perseguendo una decisa riforma della politica e della cultura americane, di consolidare e proteggere l’industria, di emancipare schiavi e liberti, di aprire le Grandi Pianure e il Far West alle fattorie dei piccoli coltivatori indipendenti, di risolvere la questione eticamente problematica degli Indiani americani, di condurre la riforma morale e il sostegno economico tanto tra gli abitanti delle città quanto tra i liberi proprietari terrieri delle campagne. Il risultato furono la crisi industriale, il terrorismo e la corruzione politica nel Sud in ricostruzione, il crimine e l’intolleranza nelle città. Le compagnie ferroviarie e le banche, non i coltivatori, guadagnavano denaro sulle terre raggiunte dalle ferrovie del West e gli Indiani, traditi dalle riforme e dalla politica “quacchera” di Grant, erano sul sentiero di guerra".
[Richard Slotkin - The Fatal Environment: The Myth of the Frontier in the Age of Industrialization. 1800-1890 - University of Oklahoma Press, 1985-1998]
"Lincoln ha segnato una meta che noi dobbiamo raggiungere: disse che le frontiere devono essere sicure".
"Ma Lincoln è morto! Non sono le parole di un morto che segneranno la vita ai viventi".
"No, le sue parole vivono!".
[Gary Cooper e Helen Burgess]
"Tra gli uomini che fecero avanzare la frontiera americana ci furono Wild Bill Hickok e Buffalo Bill Cody. La storia che segue condensa molti anni, vite e avvenimenti distanti tra loro in un unico racconto nel tentativo di rendere giustizia al coraggio dell'uomo delle pianure del nostro West".
Washington, alla fine della Guerra Civile. Il presidente Lincoln (Frank McGlynn sr.) è alle prese con la gestione della crisi:
"Signori, la guerra ormai è finita, gli uomini sono smobilitati: torneranno alle proprie case e avremo centinaia di migliaia di sbandati senza lavoro".
"Questo è molto doloroso, signor presidente".
"In primo luogo dovevamo pensare alla salvezza della Patria".
"Questi uomini hanno salvato il Paese, spetta al Paese salvarli".
"Il loro ritorno in così gran numero alla vita civile potrebbe paralizzare l'industria: la manodopera è in eccesso in confronto ai bisogni dell'industria".
"Signor presidente, ho letto un articolo su un quotidiano influente, firmato da John Soule, che diceva che l'avvenire è nel West".
"Infatti è una terra di grandi risorse: il nostro Paese si estende dall'Atlantico al Pacifico, sicuramente in questo vasto territorio ci sarà abbastanza posto perchè ognuno possa lavorare".
"Giusto, signor presidente".
"Io spero che i soldati smobilitati saranno attratti dalle ricchezze delle nostre montagne e dalla fertilità di tante nostre terre...".
"Sì, dai pascoli delle grandi praterie...".
"... dai campi dell'Illinois, dalle brulle terre del Kansas, dalle grandi praterie del West".
"Sì, signor presidente, ma se almeno le zone di frontiera assicurassero la tranquillità di chi emigra".
"Certo, bisogna che sia così".
"Durante la guerra gli indiani, in gran numero, hanno attaccato e massacrato i nostri coloni".
"Le zone di frontiera saranno rese sicure!".
Poi Lincoln accompagna sua moglie a teatro, dove si compirà il suo destino, mentre politicanti e industriali complottano alle sue spalle:
"La guerra è finita e tutte le ordinazioni sono state annullate dal governo: migliaia e migliaia di fucili invenduti".
"Un giorno eravamo i salvatori del Paese e ora siamo inutili. E il nostro denaro è investito in merce invendibile".
"Ma è sempre una buona merce: il nostro nuovo fucile a ripetizione farebbe strabiliare se la guerra non fosse finita, ma ora i fucili non sono più oggetto di considerazione per coloro che fino a ieri li reclamavano tanto. Temo che bisognerà rivolgersi alla provvidenza per smerciarli".
"Provvidenza? E dov'è?".
"Mi è stato detto che gli indiani cacciano con archi e frecce e, tuttavia, riescono a procurarsi pelli di bufalo, di volpe, di lontra... con le nostre nuove carabine. Ma perchè dovremmo avere degli scrupoli? Gli indiani pagherebbero 100 dollari ogni fucile".
"Come? 100 dollari?".
"In pellicce. E un dollaro in contanti per le cartucce".
"Ma non possiamo vendere fucili agli indiani!".
"Oh, io dico di sì. A indiani pacifici...".
"E per quale scopo?".
"Per la caccia: loro ci forniscono le pellicce e noi li paghiamo con i fucili, è molto semplice".
"Ma non li armeremmo contro i bianchi?".
"No, faremo promettere loro che questo non avvenga".
"Io sono contrario".
"Ma perchè?".
"Perchè provocheremmo dei disordini alla frontiera. Il presidente Lincoln dice che...".
"Abbiamo il diritto di farlo!".
"Le autorità militari ce lo impediranno: hanno il controllo dei traffici con gli indiani".
"Lo avevano una volta, ma ora il controllo dei traffici con gli indiani è passato dalle loro mani in quelle delle autorità civili".
"Alle autorità civili?".
"Già e quindi... capite... c'è sempre modo di intendersi. Sono abbastanza chiaro?".
Dopo la morte di Lincoln i soldati Nordisti smobilitati, senza prospettive di lavoro per un futuro in città, si dirigono verso le praterie del West per popolare quei territori e iniziare una nuova vita: tra loro c'è il celebre pistolero Wild Bill Hickok (Gary Cooper), che su un battello in partenza da Saint Louis per raggiungere i primi insediamenti sorti ai limiti della Frontiera, ritrova un suo altrettanto leggendario amico, Buffalo Bill Cody (James Ellison), anch'egli diretto nel West insieme alla moglie Louisa (Helen Burgess). Lo stesso battello trasporta anche il carico d'armi di John Lattimer (Charles Bickford), losco trafficante ingaggiato dagli affaristi senza scrupoli di Washington per rivendere agli indiani i nuovi fucili a ripetizione che la fine della guerra ha scaricato, inutilizzati, sulle casse del debito pubblico. La loro meta è Hays City, in Kansas, dove i due amici giungono grazie alla diligenza guidata dalla turbolenta Calamity Jane (Jean Arthur), vecchia fiamma di Hickok. In città, inoltre, sono insediate anche le truppe di un'altra loro conoscenza, il generale George A. Custer (John Miljan), da cui Hickok apprende alcune allarmanti notizie: gli indiani Sioux e i Cheyenne di Mano Gialla (Paul Harvey) sono sul sentiero di guerra e mezza guarnigione di Fort Finney è stata massacrata. Custer affida a Buffalo Bill il compito di guidare il convoglio di soccorso con i rifornimenti per i soldati del forte e ordina a Hickok di scovare Mano Gialla, un tempo suo amico e compagno di caccia. Gli indiani, però, armati proprio con i fucili di Lattimer, catturano Calamity Jane e a Hickok non resta che accorrere in suo aiuto. Dopo aver tentato inutilmente di riscattarla, viene condotto al cospetto di Mano Gialla:
"Perchè ti sei messo sul piede di guerra?".
"Dove sole si alza è la terra dei bianchi, dove sole cala è terra indiani. Uomo bianco prende nostra terra, uccide bufalo, nostre bestie, uomo bianco promette cibo, uomo bianco mentire. Ora Cheyenne batteranno uomo bianco, presto nostri tamburi suoneranno guerra su nostra terra, tutte tribù con Mano Gialla, cacceremo uomo bianco nella terra dove si leva il sole. Mano Gialla ha detto".
Prigioniero del capo pellerossa, Hickok viene torturato, finchè Calamity Jane, per salvargli la vita, si ritrova costretta a rivelare percorso e destinazione del convoglio con i rifornimenti condotto da Buffalo Bill: i Cheyenne, così, assaltano la spedizione, ma Hickok, liberato nel frattempo da Mano Gialla, spedisce Calamity Jane ad avvertire il generale Custer e accorre in aiuto dell'amico. Dopo sei giorni di assedio, proprio quando stavano per capitolare, i soccorsi traggono in salvo i pochi soldati superstiti: non è ancora finita, però, perchè Hickok intende regolare i conti con John Lattimer, l'infido contrabbandiere che ha rifornito di armi gli indiani e che ora, per scampare alla cattura, è fuggito in fretta e furia aizzando contro Hickok i suoi complici, alcuni soldati corrotti della guarnigione di Hays City. Buffalo Bill, invece, è atteso da un'altra missione: Custer, infatti, lo ha convocato per partecipare alla spedizione a Little Big Horn contro i Sioux di Toro Seduto. Hickok e Buffalo Bill si incontrano nuovamente più di un mese dopo: il primo, nonostante sia ricercato dalla legge per aver ucciso i complici di Lattimer, è ancora a caccia del trafficante d'armi, il secondo è stato inviato dal generale sulle tracce dell'amico per ricondurlo a Hays City. Insieme apprendono la tragica notizia del massacro del Settimo Cavalleria e della morte di Custer, ma anche dell'imminente incontro sulle Black Hills tra i Sioux di Toro Seduto e i Cheyenne di Mano Gialla per acquistare un nuovo carico di fucili proprio da Lattimer: Hickok non ha esitazioni e raggiunge la cittadina di minatori di Deadwood, nel Sud Dakota, da dove il contrabbandiere gestisce i suoi loschi traffici. Lì incontra Calamity Jane, che, abbandonata Hays City, vi si era trasferita per aprire un saloon e iniziare una nuova vita:
"Il West non è più lo stesso di una volta, Buffalo Bill ha fatto bene a cambiare: che posto vuoi che ci sia nel West per un tipo come me?".
"Dici soltanto sicocchezze, sei l'uomo più stimato del West".
"Non so chi pensa così".
"Intanto io, Bill".
Poi, scovato Lattimer, Hickok, "ostinato come un mulo", va incontro al proprio destino.
"E così sarà, come nel passato... Non è con i sogni, ma con la forza e il coraggio che una nazione verrà forgiata per durare".
Uscito nelle sale cinematografiche dopo I crociati, clamoroso insuccesso commerciale, La conquista del West è il primo kolossal western realizzato da Cecil B. DeMille negli anni Trenta (seguirà, nello stesso decennio, l'altrettanto celebre La via dei giganti), scritto da un nutrito team di sceneggiatori (Waldemar Young, Harold Lamb, Lynn Riggs, oltre a Jeanie Macpherson, che ne coordinò la stesura) sulla base di un soggetto di Courtney Riley Cooper e del libro Wild Bill Hickok, the Prince of Pistoleers (1926) di Frank J. Wilstach, riedito nel 1937, dopo l'uscita del film, con l'identico titolo The Plainsman. Spettacolare e incalzante, trascinato dal ritmo travolgente del racconto e sorretto dall'impeto forsennato della rievocazione, La conquista del West propone una visione romantica e avventurosa delle gesta di alcune tra le icone più fiammeggianti della storia del West: sfilano sullo schermo, infatti, personaggi leggendari come Wild Bill Hickok, Buffalo Bill, Calamity Jane, il generale Custer, il presidente Lincoln, i capi indiani Mano Gialla e Toro Seduto (quest'ultimo soltanto nominato), affiancati in un corpus narrativo in cui ogni pretesa di veridicità storica viene subordinata alla rappresentazione mitica di gesta ed eventi. Scrive Richard Slotkin su The Fatal Environment: The Myth of the Frontier in the Age of Industrialization. 1800-1890 (University of Oklahoma Press, 1985-1998), riferendosi alla figura del generale Custer: "La storia di Custer è sempre stata recepita come parte di una più ampia e complessa mitologia, il ‘Mito della Frontiera’. Questo mito definì i termini con cui gli americani interpretarono la storica catastrofe del 1876 e quei termini hanno continuato a caratterizzarne il dibattito culturale fino a oggi. Il Mito della Frontiera è molto probabilmente il più longevo tra i miti americani, con origini nel periodo coloniale e una forte e costante presenza nella cultura contemporanea. Sebbene il Mito della Frontiera sia soltanto uno dei sistemi-chiave mitico/ideologici che costituiscono la cultura americana, resta uno tra i più importanti e duraturi. Le sue basi ideologiche sono quelle stesse ‘leggi’ della competizione capitalistica, della domanda e dell’offerta, della ‘sopravvivenza del più forte’ del darwinismo sociale e del ‘Destino Manifesto’ che sono stati i mattoni della nostra tradizione storiografica e dell’ideologia politica dominanti. Come la leggenda di Custer, questa vasta struttura ha le sue radici nella realtà storica. La Frontiera fu una condizione materiale di vita che forgiò il comportamento e le idee di coloni e pionieri. Come ci fu l’espansione delle colonie e, in seguito, della nazione, le frontiere vennero spinte più lontano dalle ‘metropoli’; e sebbene molte più persone vivessero nel West e intorno ai confini rispetto ai tempi delle colonie, la porzione di società che viveva effettivamente nelle ‘condizioni da Frontiera’ diminuì con la crescita e lo sviluppo delle città. In ogni caso le conseguenze economiche e politiche dell’espansione della Frontiera continuarono ad essere avvertite in tutta la società. In questo senso non è minimamente sorprendente il fatto che vennero sviluppate idee e teorie, e raccontate storie, che spiegavano ai cittadini delle metropoli il significato della Frontiera e stabilivano le linee guida per gestire le conseguenze di quello sviluppo. Fu anche inevitabile che quelle idee e quelle storie, nel tempo, avessero intrapreso quei percorsi canonici per trasformarsi in ideologie e miti. Ma, come la leggenda di Custer, il mito/ideologia della Frontiera sopravvisse anche alla realtà materiale che lo produsse". I miti, come spiega ancora Slotkin, "sono racconti, attinti dalla storia, che hanno acquisito su generazioni e generazioni una finalità simbolica fondamentale per il funzionamento culturale della società che li produce. L’esperienza storica viene preservata nelle forme del racconto e, attraverso nuove e periodiche narrazioni, quei racconti diventano tradizione". Il lavoro di DeMille si orienta proprio in questa direzione: la caratterizzazione dei personaggi e l'impostazione della rievocazione, infatti, si fondano sulle tradizioni popolari, sulle visioni e le interpretazioni che di quegli eventi proposero e tramandarono schiere di storiografi, giornalisti e romanzieri. DeMille governa questa enorme mole di personaggi ed episodi storici esaltando simbolicamente l'idealismo, trasfigurato nel fascino sfrenato dell'avventura, alla base delle loro gesta: incorniciato dalla splendida fotografia del grande Victor Milner e dalle scenografie raffinate curate da Roland Anderson e Hans Dreier, La conquista del West sfrutta, poi, ogni elemento tipico, sia narrativo che figurativo, su cui si fonda il genere western (il mito della Frontiera, i pionieri alla conquista delle zone più selvagge del territorio, le battaglie tra i cowboy e gli indiani, le cariche della cavalleria, il senso dell'onore e il rispetto della legge, il viaggio, il capitalismo, il gioco d'azzardo, le risse nei saloon, la purezza e la maestosità della natura incontaminata, la febbre dell'oro, la caccia, i banditi e i pistoleri), per costruire il suo esaltante percorso sospeso tra il mito e la storia.
Cast magnifico, da uno straordinario Gary Cooper, che girò senza controfigura le sequenze d'azione, a una scatenata e deliziosa Jean Arthur, fino al breve cameo, nei panni di un indiano Cheyenne, di Anthony Quinn, qui in una delle sue prime apparizioni cinematografiche. Con un mediocre remake (I dominatori della prateria), diretto nel 1966 da David Lowell Rich.
"Go West, young man, go West and grow up with the country!".
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