Regia di Edgar Wright vedi scheda film
Se hai la fortuna di entrare in un cinema, sabato notte, mentre scorrono ettolitri di vino a pochi passi dalla sala e vedi un film come Ultima notte a Soho, puoi ritenerti un cinefilo fortunato.
La trama in breve:
Eloise, ventenne cresciuta con la nonna dopo il suicidio della madre, arriva a Londra con il sogno di diventare stilista. Ha il mito della Swingin' London e della musica anni '60, che ascolta continuamente su vecchi 33 giri portatili. Dopo un'infelice esperienza nello studentato della scuola di moda in cui è stata ammessa, si trasferisce in un appartamento di Soho affittato da un'anziana signora. Qui, durante lunghe notti agitate, Eloise sogna di tornare nel passato, nella Londra che ama di più, dove incontra Sandie, un'aspirante cantante che vive il glamour di una città colorata ed esaltante. Poco alla volta, però, Eloise confonde la propria personalità con quella di Sandie e ne scopre la vita in realtà miserabile, scivolando tra realtà e incubo in un'esperienza spaventosa.
Edgard Wright è uno di quei registi che ho sempre seguito, senza averne però una concezione personale. E’ comunque un regista importante, come lo è questo film e ora do la mia versione al riguardo.
È un film notevole questo Ultima notte a Soho, perché ha la capacità, rarissima, di riconciliarti con il Cinema anche quando non vorresti far pace.
Wright, con tutta la sua maestria e fantasia, ti immerge nel suo mondo ultra-cinefilo eppure sincero, fatto di immagini dentro immagini ma anche di un tessuto narrativo e registico credibile, fino al finale (che ha la sua dose di sorpresa).
Infinti i rimandi del film, su cui possiamo anche non soffermarci: da italiani, sicuramente possiamo notare la passione e i richiami al cinema di Mario Bava e Dario Argento.
L’apparato tecnico del film riesce a lavorare all’unisono, diretto dalla maniacalità del regista; sorprende su tutto, oltre alla quantità di immagini che restano nella memoria, la bravura nello scegliere la colonna sonora e il montaggio sonoro che rimane al livello del miglior Tarantino o, se volete, del miglior Scorsese.
Con questo meccanismo narrativo Wright ci catapulta nel cuore di un cinema passionale, appassionato, cinefilo eppure, lo ribadisco, sincero; l’amore del regista per Londra, per gli anni ’60 e per il cinema dell’epoca è palpabile; la storia della protagonista risulta credibile anche nei momenti più visionari da trip.
La Mdp segue i personaggi, i momenti di “paura” sono genuini e ben calibrati, la struttura si fa via via sempre più inquietante, violenta, oscura. Prima invece, come sempre nel suo cinema, Wright aveva dato sfoggio della sua abilità in fase di scrittura di dialoghi, regalando anche momenti da musical.
Le immagini del film si mescolano, si distorcono fino al cortocircuito narrativo finale che sfocia in una spiegazione realistica e di impatto; c’è anche del sano ed immancabile “femminismo” nel film portato in dote dalla co-sceneggiatrice Krysty Wilson-Cairns.
Come si diceva in precedenza, i rimandi al cinema stesso del regista e a quelli di tanti altri sono molti, ma la costruzione visiva del film è impeccabile; ad iniziare dalla scena iniziale, che ci presenta questa giovane sognatrice, aspirante stilista, proseguendo con le scene musicali e infine con quelle ad alto tasso di tensione, il tutto in una Londra magnetica.
La giovane Thomasin McKenzie si conferma attrice di gran talento e riesce a dare al ruolo la giusta fisicità; bravissima e seducente Anya Taylor-Joy; prezioso il cameo del grandissimo Terrence Stamp.
Un regalo per i cinefili sicuramente, ma anche un film che riesce a mischiare tanti “generi” con una visione forse del cinema che è stato, ma con un talento e una dedizione alla struttura narrativa capace di arrivare agli spettatori del cinema di oggi, così attenti ai dettagli e alle sfumature psicologiche.
Wright si conferma un sognatore-realista, uno di quei registi capaci di realizzare piccoli-grandi film visivamente eccellenti. Il film è montato molto bene, con sviluppi narrativi ad incastro non semplici ma compatti, attraverso produzioni sostenibili ed accattivanti.
Uscito dalla sala - erano passate le 2 - hai come la sensazione che la stanchezza accumulata svanisca, ebro di inseguimenti, colori, suoni, performance attoriali di livello, rinfrancato da un “tipo di cinema” che sembra ogni anno in via di sparizione. Parlo naturalmente del cinema dei “generi”, fatto da registi intelligenti e colti, sincero ma stratificato, complesso ma anche semplice, soprattutto emozionante. Insomma, quello che è stato, a volte, il grande cinema.
Voto 7,5
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