Regia di Michelangelo Frammartino vedi scheda film
FESTIVAL DI VENEZIA 78 - CONCORSO
In un paesino sulle montagne calabre nei '60, l'estate invoglia i paesani a guardare assieme la TV, ove una trasmissione documenta l'irresistibile ascesa sul grattacielo Pirelli e di Milano. Di lì a poco alcuni speleologi del nord si recano in loco per percorrere in senso opposto la discesa verso l'abisso di una grotta inesplorata.
Il cinema di Frammartino ha la peculiarità di giostrarsi tra direzioni antitetiche ed opposte, e tra elementi naturali, esseri umani ed animali, mettendo tutti sotto lo stesso piano, interagendo con tutti e tre con il medesimo democratico approccio, evitando in più di concedere alla specie umana attimi privilegiati o primi piani in cui possa trovare più semplice esprimersi. In questo contesto, che mette peraltro seriamente in discussione il fatto che si tratti davvero di un documentario (gli esseri umani, per quanto di sfondo, recitano ognuno una loro parte, non meno di cose, animali e piante), Frammartino torna agli anni del boom economico e contrappone lo sviluppo di una Milano che diventerà"da bere" nemmeno vent'anni dopo, alla quiete naturale di una Calabria rimasta intatta nel suo rapporto tra abitanti, allevamenti, e zone boschive.
In quelle valli, alcuni giovani speleologi organizzano una esplorazione di quella che per molti anni resterà la più profonda grotta visitata dall'uomo: l'Abisso del Bifurto, una gola che si infiltra nelle profondità per oltre 600 difficilmente accessibili metri.
L'impresa faticosamente riuscirà, e nel mentre un vecchio pastore osserverà dall' alto del suo appostamento, col viso reso coriaceo dall'età e dalle intemperie non meno del secolare albero che gli tiene compagnia, comunicando con i suoi animali con un linguaggio tutto suo. Si ammalerà fino a morire, ma il suo grido resterà immutato a rompere il silenzio di quelle valli, eterno come l'albero secolare che gli è stato vicino per decenni, e come la gola appena esplorata. Frammartino ama gli accostamenti arditi (la natura incontaminata della Calabria montana e la città del progresso) e riesce ogni volta a stupirci col suo tocco cinematografico poetico e unico tutto riprese a pieno campo che è troppo riduttivo definire documentaristico.
Puntando ancora una volta, come nello straordinario Le quattro volte, sul concetto di immortalità della vita terrena esercitata attraverso la ciclicità delle esistenze direttamente interdipendenti.
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