Regia di Carlo Luglio vedi scheda film
Per sentirsi liberi occorre passare da una prigionia. Essere prigionieri di se stessi e della propria vita è la più dura delle prigioni in cui può essere rinchiuso un essere umano. E Pasquale Cardinale è detenuto all’interno della propria esistenza. Vedovo inconsolabile, padre di una figlia, guardia forestale appena licenziata per un’operazione discutibile e ludopatico, Pasquale non ha una vita ma vive di riflesso. Le ali della sua libertà sono state tarpate da un destino beffardo e ineluttabile che ha cancellato ogni suo slancio identitario.
Ha perso la moglie Adriana da 15 anni ma non riesce a staccarsi da lei. Ogni giorno si presenta davanti alla lapide della consorte, si appoggia su una sedia appositamente portata con sé e le parla. Le confida le sue pene ma, come egli rimarca, non si aspetta una risposta. Almeno non è pazzo: come sottolinea, fuori di testa è colui che, parlando con i morti, si aspetta una risposta. Lui è lì solo per perpetuare una realtà a cui è abituato. Senza l’amore un uomo che cos’è?: se lo chiedeva già una nota canzone italiana ed è la prima domanda che salta alla mente osservando la guardia forestale. O, forse, è meglio considerarlo ormai un ex guardia forestale. Si è macchiato di uno dei più strambi reati a cui la professione poteva esporlo: ha rivenduto un cardellino sequestrato ai cardellari. Beccato in fragrante, è stato cacciato dal corpo ma ciò non lo ha reso un eroe agli occhi di uno stravagante gruppo di rivenditori di uccelli: il cardellino rivenduto era un rarissimo esemplare bianco dal valore di 5 mila euro mentre Pasquale, con il suo essere naif e fuori dal mondo, ha preteso una miseria, 200 euro che, a conti fatti, sono stati una maledizione.
A casa, la situazione non è delle migliori. Ha una figlia che sogna di sfondare come cantante (si esibisce in giro per il territorio grazie a uno strampalato impresario) e che ha come obiettivo ultima la “liposoluzione finale”. Sì, parecchio in carne, aspira a una liposuzione che un discutibile chirurgo estetico le ha promesso in cambio di 30 mila euro e nessuna garanzia di successo. Grazia, questo è il nome della giovane, ha avuto un’infanzia difficile, è rimasta traumatizzata da due suore impegnate in un atto di sensualità lesbo ed ha una scapestrata relazione sentimentale fatta di tira e molla con lo sconclusionato Strato, un ex neomelodico che porta in giro i suoi colombi bianchi da far volare durante le cerimonie nuziali. Grazia, a modo suo, vuol bene al padre ma deve ancora imparare a voler bene a se stessa e alla sua atipica bellezza.
Nel gioco d’azzardo, nelle slot machines in particolare, Pasquale ha trovato una valvola di sfogo. La peggiore, forse, come ha modo di ricordargli il tabaccaio, don Attilio, spingendolo a far ricorso ai particolari antidepressivi messi a punto in maniera artigianale da don Mimì, il fratello del farmacista del posto. Don Attilio è anche uno dei cardellari più tragicomici della zona. Sotto la ditta di sgombro cantine e traslochi Attanasio & Attanasio si nasconde la cricca di ladri di cardellini più atipica del napoletano, di cui fanno parte uno psicopatico che sogna un’app per tradurre il linguaggio degli animali, il barbiere ex suocero di Pasquale e don Sasà, colui a cui tutti, per la sua esperienza e tracotanza, portano rispetto. Nel gestire i contatti con un capo che mai si vedrà, don Sasà ha bisogno di organizzare una truffa senza precedenti che ha come obiettivo finale quello di mettere le mani su 200 preziosissimi cardellini bianchi, un tesoro nelle mani di un losco indizio. Per il colpo, si necessita di nuova manovalanza e Pasquale viene inghiottito dall’organizzazione, insieme a Palettone, fornaio noto per la sua passione per le galline.
Un inseguimento da parte delle guardie forestali e qualche pillola di troppo data da don Mimì finiscono con il causare un infarto al povero Pasquale, segnando il punto più basso della sua parabola, destinata da quel momento in poi a vedere la sua curva risalire.
Pur senza specificare mai il luogo in qui la storia è ambientata, Il ladro di cardellini parla napoletano e di Napoli mette in piazza colori, usi e tradizioni. I fuochi fatui della tradizione di cui tanto Pasquale ha sentito parlare si mescolano all’arte d’arrangiarsi tipica della città, segnata da musica neomelodica e attività lavorative “innovative”. Il traffico di cardellini, specie protetta dalla legge, è un fenomeno tipicamente meridionale che garantisce guadagni anche alla criminalità: sovente i telegiornali informano di sequestri nei mercati popolari di centinaia e centinaia di esemplari venduti nei mercati cittadini (Ballarò a Palermo è una delle piazze più note).
Dalla cronaca, quindi, il regista Carlo Luglio prende spunto per costruire una commedia che riporta il genere allo splendore di un tempo. Con l’abile maestria di chi sa che un cast corale di personaggi va accompagnato mano nella mano, il regista poggia delicatamente la macchina da presa su ognuno degli attori in scena per regalare affreschi che, con pochi tocchi, sono in grado di approfondire psicologie e tipologie. Gioca con gli attori e con la loro (auto)ironia per mettere in piedi un coro che si rivela l’ottima controparte della tragicomicità del protagonista Pasquale. Affida ai tratti somatici e alla bravura di Nando Paone il compito di far da concierge a un simposio di grandi caratteristi napoletani, guidandoli verso vette inesplorate da un cinema che li ha sempre relegato a parti minori. La sgangherata banda di cardellari richiama talvolta alla mente la banda di vecchietti della serie di romanzi I delitti del BarLume: la verve napoletana sostituisce quella toscana, le abitudini – più o meno cattive – meridionali spazzano quelle toscane e l’illegalità, l’estrosità e, perché no, la follia prendono il posto della voglia di giustizia dei personaggi nati dalla penna di Marco Malvaldi. Laddove i personaggi di Malvaldi agiscono per far luce, quelli di Luglio agiscono con il favore delle tenebre e con prepotente simpatia. Gigi De Luca, Giovanni Ludeno e Tonino Taiuti compongono la banda dei soliti ignoti insieme al surreale tabaccaio impersonato da Ernesto Mahieux, attore che meriterebbe maggiori riconoscimenti e consensi, e al don Sasà portato in scena dal sorprendente Pino Mauro, cantautore che per anni ha diviso il trono di re di Napoli con Mario Merola riscoperto come attore dai fratelli Manetti in Ammore e malavita.
Viviana Cangiano, Lino Musella e Vincenzo Nemolato, sono invece i tre giovani a cui Luglio affida i personaggi di Grazia, Strato e Mimì, trasformandoli in maschere di una Napoli che cavalca l’onda della modernità. Grazia sogna il successo come cantante ma più che all’anima guarda all’estetica, Strato affida invece alle canne il suo malessere per non avere sfondato come cantante neomelodico nonostante una copiosa produzione e qualche tempo in carcere, e Mimì ha fatto delle sue pillole la panacea a tutti i mali: dall’antidepressivo al rinvigorente, offre a tutti la momentanea concretizzazione di sogni altrimenti irrealizzabili.
Nel lavoro di Luglio, scandito da tempi perfetti e da situazioni che non cedono mai al facile pregiudizio, non mancano gli accenni alla nuova conformazione delle società italiane. Il sorriso viene strappato da un prete nero oramai integrato agli usi e ai costumi italiani (il personaggio è nato ancor prima dell’immigrato di zaloniana memoria) o dall’organizzazione dei matrimoni di convenienza con due rumene sui generis, interpretate da Antonella Attili (irriconoscibile) e Yuliya Mayarchuk, insuperabili nel mettere in scena l’intero spettro delle dicerie sulle donne dell’Est senza mai scadere nella trivialità.
Come in una perfetta ricetta di cucina, Luglio (socio fondatore con Gaetano Di Vaio della Bronx Film e produttore come tale di opere come Là-Bas. Educazione criminale o Per amor vostro) dosa sapientemente gli ingredienti e si rivela un master chef da tenere d’occhio. La sua favola, travestita da viaggio iniziatico, sottolinea come il valore dell’amore (per una donna, per il canto, per la libertà, per se stessi) possa aiutare a ritrovare un’identità creduta oramai perduta, liberandosi del peso di quei gioghi che spesso noi stessi tendiamo a imporci. Aprire gli sportelli delle gabbie della vita, anche all’inizio di quella che per tutti è la terza età, vuol dire riaffacciarsi al mondo, nascere una seconda volta e volare fuori dal nido. Pasquale impara a reinventarsi senza mai disperarsi e torna a cinguettare su uno sfondo sempre più donchisciottesco, surreale sì ma mai banale, libero dai canoni che il cinema italiano d'oggi impone come un mantra. E, da bravo chef, Luglio ha saputo anche circondarsi di un comparto tecnico di prim'ordine, a partire dalla sceneggiatore Diego Olivares, regista dell'ottimo Veleno - La terra dei fuochi (il soggetto porta la firma di Luglio, Olivares, Massimiliano Virgilio e Annarita Altieri Pignalosa).
Dulcis in fundo, menzione a parte merita il lavoro di Remo Anzovino, le cui musiche sono diventate parte integrante della trama: l'intera sequenza di apertura è ad esempio suono e canto al tempo stesso rendendo quasi difficile distinguere le note di uno strumento da quelle intonate da un cardellino. Le canzoni portano invece la firma di Canio Loguercio, musicista e performer di quella che è stata definita Wesuwave, presente anche con un cammeo nei panni di Giuffrida.
--------------------------------
Pietro Cerniglia.
©2020 Mondadori Media S.p.A. – Riproduzione riservata
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta