Regia di Martin Campbell vedi scheda film
La sua prima apparizione fu nel romanzo breve La maledizione di Capistrano di Johnston McCulley pubblicato a puntate nel 1919 dalla rivista All-Story Weekly e, da allora, il cinema si appropriò del personaggio.
Il primo a incarnare il giustiziere mascherato fu Douglas Fairbanks già nel 1920, a cui si succedettero tra gli altri Tyrone Power e, addirittura, Alain Delon nella sua ultima versione cinematografica firmata dal nostro Duccio Tessari nel lontano 1975.
Almeno fino al 1998 quando, a ventitré anni da quest’ultima versione, il produttore Steven Spielberg insieme a Doug Claybourne & David Foster decidono di rispolverare il personaggio per gli anni 2000 producendo una nuova pellicola con la sua Amblin Entertainment in collaborazione con la Tristar Pictures affidandone la regia a Robert Rodriguez, reduce dal successo di Dal Tramonto all’alba, che abbandonò però il progetto per alcuni diverbi con la produzione, sostituito poi dal bondiano (GoldenEye, Casino Royale) Martin Campbell (Legge criminale, Vertical Limit, Fuori controllo, Lanterna Verde, Memory).
Aggiornare il mito dell’iconico personaggio creato da un cronista di nera che si dilettava a scrivere per le riviste pulp, ed entrato ormai nell’immaginario collettivo da più di un secolo, non era affatto semplice.
Missione affidata al trio di sceneggiatori Ted Elliott, John Eskow & Terry Rossio che avevano il compito di svecchiare la vecchia formula rompendo con il passato, anche affidandone il ruolo per la prima volta ad un interprete spagnolo, il sex-symbol Antonio Banderas, lanciato dalle pellicole di Pedro Almodovar e ormai svezzato al pubblico americano con la pellicola premio Oscar Philadelphia, affiancandolo a una star hollywoodiana quale Sir Anthony Hopkins e a una splendida promessa come Catherine Zeta-Jones, all’epoca ancora sconosciuta che grazie al ruolo di Elena si è guadagnata la fama internazionale.
Con la fotografia di Phil Méheux, il montaggio di Thom Noble e la splendida musica di James Horner, La maschera di Zorro è un cinema estremamente classico ibridato però con soluzioni più moderne, con lo scopo (dichiarato) di riportare in auge i gloriosi film di cappa e spada della Hollywood di un tempo, un cinema d’avventura giocoso, divertente e ricreativo molto poco sfruttato nell’ultimo trentennio.
La pellicola duplica non soltanto le “volpi”, l’anziano Hopkins/De La Vega e l’aitante Banderas/Murrieta, e la conseguente sete di vendetta verso i loro antagonisti (Wilson/Montero & Letscher/Love) ma anche i generi, dal dramma romantico di un padre che ha perso la famiglia (ma che ritrova una figlia) alla divertente avventura di improbabile difensore del popolo di un esuberante bandito.
Avvincente ma con uno stile a volte graffiante, il film del regista neozelandese è anche un prodotto citazionista, che guarda interessato sia alla saga di 007 che al mondo dei (cine)fumetti (soprattutto Batman, personaggio DC che deve l’ispirazione proprio al personaggio creato da McCulley), ma anche alle pellicole d’antan (e ai personaggi) di Errol Flynn e (soprattutto) ai classici immortali come Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas & Auguste Maquet (la fuga dal carcere sostituendosi a un morto, il crescente desiderio di vendetta dei protagonisti, una figlia scomparsa che apprende la vera identità del padre soltanto alla fine, l’amore che supera ogni contrasto e/o qualsiasi barriera sociale).
La maschera di Zorro ripropone anche una tradizione cinematografica che, per scrittura e tempistiche, si avvicina molto ai feuilleton, romanzi d’appendice dei primi dell’800, o a una rappresentazione teatrale, quasi un balletto di vicende e personaggi che non ha mai la pretesa di essere preso troppo sul serio e che regala sempre un lieto fine.
Non necessariamente un male..
Oltre ai tre protagonisti principali (Banderas, Hopkins, Zeta-Jones) il cast comprende anche Stuart Wilson, Matt Letscher, Pedro Armendariz, Tony Amendola e L.Q. Jones.
VOTO: 7,5
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