Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
Questo film contraddice palesemente il giuramento conclusivo presente sul manifesto del Dogma 95, ossia: "...giuro come regista di astenermi dal gusto personale! Non sono più un artista. Giuro di astenermi dal creare un'"opera", perché considero l'istante più importante del complesso. Il mio obiettivo supremo è di trarre fuori la verità dai miei personaggi e dalle mie ambientazioni. Io giuro di far ciò con tutti i mezzi possibili ed al costo di ogni buon gusto ed ogni considerazione estetica. Così io esprimo il mio VOTO DI CASTITÀ..." Quando sottoscrisse queste parole, Vinterberg sapeva di mentire. E in ogni caso, con Festen si è sconfessato inequivocabilmente. In questo film, molto più bergmaniano di quanto non appaia (vedi gli outing sconvolgenti dei personaggi) e fedele a tutta una tradizione teatrale scandinava basata sul pressante scandaglio psicologico, l'estetica ultra-realista proposta dal Dogma si rivela impraticabile: gli scomposti movimenti della mdp sottolineano gli animi ribollenti e le acredini reciproche dei familiari. E così il famigerato Dogma si rivela figlio dell'espressionismo, più che di Cassavetes. Film sfrontato, sgradevole, antipatico: un pugno nello stomaco al mito della famiglia felice, ma anche a quello della Scandinavia modello di civiltà e tolleranza. Astio ed aggressività regnano sovrani e Vinterberg, con buona pace di ogni pretesa anti-estetica, "inventa" una forma cinematografica capace di enfatizzare questi sentimenti.
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