Regia di John Farrow vedi scheda film
Una volta, forse con l’inconfessata intenzione di rubare il mestiere ad Andrew Niccol, mi è venuta in mente un’idea per un film di fantascienza ‘sociale’: un mondo in cui il giorno della morte di ciascuno è inderogabilmente fissato fin dal momento della nascita, come un prodotto porta scritta sulla confezione la data di scadenza. Edward G. Robinson ha appunto questo terribile privilegio: conoscere la sorte delle altre persone, ma non poter fare nulla per impedirla. Una capacità emersa a poco a poco nei lunghi anni passati a fingersi indovino nei teatri di provincia, che ha avuto anche risvolti positivi (azzeccare il vincitore alle corse dei cavalli, scoprire un giacimento di petrolio), ma che gli ha procurato lo strazio di dover assistere impotente alla morte della donna amata e del migliore amico, e che lo ha indotto a vivere in solitudine. Il film non dà tregua: comincia con un suicidio sventato in extremis, continua con un suggestivo flashback, poi fa partire un lentissimo conto alla rovescia scandito da indizi inquietanti che puntualmente si verificano (un fiore calpestato, una tenda agitata dal vento, un vaso rotto, una zampa di leone, una voce che dice “ora non c’è più pericolo”) e che fanno salire la tensione alle stelle. Per Robinson è l’estrema sfida al destino, la possibilità di una rivincita: riuscire finalmente a sfruttare la propria chiaroveggenza salvando la vita di una persona cara. Un film incantato, affascinante, miracolosamente sospeso fra l’esigenza di razionalità e l’abbandono al mistero.
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