Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film
Nel 1995 esce il 4 lungometraggio di Shin'ya Tsukamoto, uno dei precursori del moderno cinema giapponese, tornato in auge nei primi anni 90 grazie sopratutto al lavoro dello stesso Tsukamoto; dopo l'incredibile esordio con Tetsuo, il cineasta di Tokyo prosegue il suo percorso autoriale realizzando un gioiello assoluto: Tokyo Fist
Sinossi: Tsuda (interpretato da Tsukamoto) è il classico salaryman che lavora senza sosta e con la massima dedizione; al termine della dura giornata lavorativa trova un apparnte conforto tra le braccia della moglie Hizuru, molto disponibile e sensibile nei confronti del marito. La loro vita viene sconvolta dalll'incontro casuale con Kojima, ex compagno di scuola di Tsuda....
Il titolo del 4° film di Tsukamoto è alquanto simbolico ed esplicativo: "pugno di Tokyo" sintetizza alla perfezione una delle tematiche care del cineasta, ossia il ruolo della metropoli in rapporto con il singolo individuo.
Tokyo è una città meravigliosa ma molto imponente, in grado di schiacciare letteralmente i suoi abitanti, privandoli di qualsivoglia individualità soprattutto se si svolge il ruolo dell'impiegato.
Tsuda (il protagonista) vive malissimo la sua condizione lavorativa ma come tutti i salarymen giapponesi soffre in silenzio, accentando qualsiasi ingiustizia lavorativa e non.
Come sottolienato più volte dal regista stesso, i giapponesi durante la loro giornata lavorativa mascherano sempre i loro reali stati d'animo tra cui la rabbia, senza riuscire mai a scaricarla e nel lungo periodo può diventare deleteria e dannosa; tuttavia nell'ottica del regista è possibile trovare un antidoto a tutto questo, ossia attraverso la scoperta del dolore o meglio attraverso la consapevolezza dell'esistenza della morte che di conseguenza porta l'individuo ad apprezzare la vita e soprattutto a sentirsi realmente vivo, tutto questo lo rivedremo nel film con uno stile ed una messa in scena assolutamente originale.
Continuando a focalizzarci sull'aspetto tematico in Tokyo Fist ritroviamo altri stilemmi fondamentali della poetica del regista, ad esempio è presente il ruolo del demiurgo (Kojima, intrepretato dal fratello del regista) che sconvolge la vita del portagonista.
Fondamentale anche il ruolo della donna, inizialmente Hizuro viene presentata come la perfetta moglie/fidanzata giapponese tuttavia anche lei acquisterà una propria individualità dopo l'incontro con Kojima e come sempre succede nel cinema di Tsukamoto questo apprendimento avverà a seguito di atti violenti; la violenza è la risposta ad una presa di coscienza del proprio stato di apatia, e per guarire da questa condizione il corpo è costretto ad accetare dei turbamenti/mutamenti e quindi «solo il dolore ci rende coscienti di avere un corpo» Shin'ya Tsukamoto.
Un altro tema importante (il vero leit-motion della storia) è il ripresentarsi di un passato burrascoso pronto a condizionare la già debole psiche dei protagonisti (maestrosi e violenti flashback in bianco e nero).
Perfetta anche la messa in scena riguardante le dinamiche di coppia, portate all'estrematizzazione, soprattutto se rapportate ad alcune dinamiche sociali (quindi il microcosmo che incontra il macro).
Da un punto di vista tecnico Tokyo Fist è un capolavoro assoluto del basso budget, pensiamo subito all'incredibile incipit:
in medias res, noi spettatori siamo catapultati all'interno di una palestra, dove una serie di pugili si allenano duramente, il tutto ripreso con macchina mano, il regista opta per un movimento spasmodico della macchina stessa e le immagini si sovrappongono alla perfezione con una "musica industriale"; dopo neanche pochi secondi il ritmo già sovraccaricato, esplode con una serie di immagini altamente simboliche ed oniriche condite da un eccesso visivo gore e da una fotografia sperimentale.
In precedenza si è sottolienato dell'importanza della megalopoli che opprime il singolo individuo, e la regia lo conferma alla perfezione. In alcuni frangenti vediamo il nostro protagonista aggirarsi all'interno o nei pressi di mega-strutture iper-moderne, caratterizzate da un bianco asettico, Tsuda molte volte è ripreso tramite inquadrature instabili e oblique che alludono al suo stato d'animo tormentato o meglio richiamano l'alienazione del soggeto, oppure pensiamo alle inqudrature strette all'interno di piccolisismi vicoli, qui il personaggio viene letteralmente imprigionato.
Sintetizzando: oltre alla camera a mano (shaky camera) troviamo la steadycam, il montaggio a tratti incredibilmente frenetico, inquadrature instabili, rallenty e fast-motion memorabili e simbolici, infine una fotografia sperimentale molto cromatica alternata ad alcune scelte estremamenye realistiche (la fotografia è curata dal regista stesso); tutti elementi che ritroveremo spesso nel cinema del regista.
Tokyo Fist è un tasssello fondamentale del moderno cinema giapponese.
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