Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film
Alcuni registi hanno il potere di mettere tanta carne al fuoco nel breve tempo che concede un film!
Tsukamoto ci riesce, realizzando pellicole con sequenze e musiche sincopate, scene monocromatiche di colori accesi, che si alternano in rapida successione: dal rosso passione al più riflessivo blu "lunare". E' un po' come assistere al singhiozzo del mondo, al disagio di alcuni, alla ribellione violenta e improvvisa di altri. L'oppressione esplode con dirompenti eruttazioni di sangue, volti stravolti dai segni della lotta e autolesionismi in stile anime.
Il pugilato diventa il simbolo della vendetta (che nella cultura giapponese è spesso accostata a "rendere giustizia"), per alcuni; per la protagonista femminile diventa il simbolo del riscatto: il riscatto dalla "morbidezza", la sfera delicata, statica e bisognosa di protezione in cui la vogliono relegare gli uomini. Uomini che falliscono, dimostrandosi deboli come, se non più, di lei. Il mito del superuomo crolla, per lasciare posto all' "umanità" delle persone con l'ordinarietà, la fragilità che tale condizione comporta.
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