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Mille pezzi di un delirio

Regia di Nicolas Roeg vedi scheda film

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La recensione su Mille pezzi di un delirio

di alan smithee
7 stelle

La maternità subita da giovanissima,e poi anelata alla doglia dei 40, diviene una ossessione, un delirio ad occhi aperti per una bella e giovane moglie insoddisfatta.Roeg esagera ed abbonda, ma governa il tutto con esplosioni oniriche e modellini di treni che divengono metafore di vite al contrario senza direzione. Grandi attori padroni di strafare

Nicolas Roeg ha il pregio, e pure il difetto, di non riuscire quasi mai a contenersi quanto a stramberia dei personaggi rappresentati, alla peculiarità delle scenografie, esterne ed interne, in cui vivono le sue storie; nonché è ormai lecito attendersi, in ognuna delle sue opere, esplosioni di follia e vitalità onirica, dove la distruzione di cose, corpi e altri oggetti, finisce per celebrare un rito con cui il protagonista (o la protagonista, ancor più spesso) tenta la via della liberazione.

Una bella trentacinquenne, andata in sposa ad un bizzarro medico molto più anziano, impotente ed amante incallito dei trenini elettrici, che attraversano la bella villa che li ospita come ricreando un microcosmo perfetto tra percorsi a serpentina tra montagne, laghi e cittadine perfettamente ricostruite, vive dapprima dentro di se, poi manifestamente in pubblico, l’ossessione di non riuscire ad essere più madre dopo che, a causa di una violenza sessuale mentre era ancora una teenagers, rimase incinta ed il bimbo le fu tolto ed affidato in adozione.

Incontrato uno strano tipo bizzarro ma socievole, giovane ed aitante, che subito la circuisce, la donna si convince di avere di fronte suo figlio: anzi è il ragazzo stesso che le si dichiara come tale, ma non le nega anche un tipo di amore che non ha nulla di materno e solamente affettivo.

Capiamo in seguito, da sguardi sconcertati dei passanti o di chi resta fuori dalla vicenda, che la donna ha visioni tutte sue e la persona che ritiene essere il figlio, forse nemmeno esiste, se non nella sua mente in preda al delirio.

Nel contempo il marito coltiva una relazione sadomaso con una infermiera del suo reparto, e si candida in politica metaforizzando la sua passione per i treni come il modo per raggiungere indirizzi sicuri e lineari, al pari degli amati e fedeli binari ferrati (straordinaria e potente la scena del comizio elettorale in cui si parla di treni elettrici riuscendo ad incantare una folla in delirio con improbabili metafore di vita).

Strambo, bizzarro, disallineato e sconnesso, il film di Roeg ha tuttavia un fascino innegabile che trae forza dal coraggio di raccontare tante assurde storie private e radunarle attorno ad un focolare domestico di una famiglia ormai a pezzi.

Fantastica Theresa Russell, da sempre icona di riferimento (nonché consorte) del regista, ma molto del fascino del film si deve alla prova stralunata alla Malcom McDowell di Gary Oldman, fantasma incontenibile ed affascinante, che rappresenta in una persona sia la vittima innocente, rancorosa ed in cerca di riscatto rivendicando un amore materno che si sviluppa in modo scandalosamente sessuale, sia il persecutore che diede origine a tutti i guai e drammi della nostra devastata, bellissima protagonista.

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