Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
"Com'è che non sei mai venuto prima a trovarmi?".
"Non sapevo che la mamma fosse così bella".
"Oh, tu non sai quello che è bello, dovresti vedere la mia fionda...".
[Il piccolo Jerry Mathers e John Forsythe]
L'incipit...
Il piccolo Arnie Rogers (Jerry Mathers: nella versione italiana, però, il suo personaggio diventa un più semplice Johnny), armato del suo fucile giocattolo, è a passeggio nei boschi in cerca di qualche immaginario "cattivo" da castigare (e magari anche di qualche animaletto selvatico da "scambiare" con i propri amici), quando il boato improvviso di tre spari e la voce di un uomo ("Ecco, questa volta c'è rimasto secco!") distolgono la sua attenzione dai giochi: dopo un iniziale momento di smarrimento, Arnie riprende il controllo della situazione e, con il fucile ben saldo tra le mani, si avvicina con prudenza verso il punto da cui provenivano i colpi. A terra c'è un cadavere: ora, decisamente, è il momento di scappare via in fretta e furia. Anche il capitano Albert Wiles (Edmund Gwenn) si trova nel bosco e pure lui ha un fucile tra le mani, soltanto che il suo, a differenza di quello di Arnie, è vero e, per di più, ha appena sparato. È lo stesso capitano ad ammetterlo. A chi? Ma al suo stesso fucile, ovviamente, l'inseparabile compagno di un solitario cacciatore come lui: "Beh, vecchio mio, hai fatto abbastanza per oggi. Se non ci siamo beccati almeno due lepri, meritiamo di rincasare a mani vuote. Eh già, beato chi non si aspetta niente, perchè non sarà mai deluso. Poche cose a questo mondo danno più piacere della caccia: soddisfa pienamente il nostro istinto di andare in giro in cerca di prede per i boschi. Forza, vecchio mio, che le lepri sono pronte per la padella!". Che il suo fucile abbia senz'altro svolto il suo compito è fuori discussione, più problematico è far andare d'accordo l'età avanzata del capitano con la sua mira: la prima lepre, infatti, si è rivelata essere soltanto una lattina di birra, crivellata da una pallottola ("Se avesse avuto quattro zampe e una coda, ce la mangeremmo stasera"), mentre la seconda, addirittura, il cartello del divieto di caccia, centrato in pieno. E la terza pallottola dove è finita? Quando il capitano Wiles si imbatte nel cadavere già scoperto dal piccolo Arnie, impallidisce ma non ha il minimo dubbio: "Per Giove, l'ho accoppato! Un colpo a vuoto su una lepre ed eccomi un omicida, un assassino! Mamma lo diceva che sarei finito male. Ma tu, poi, che diavolo stavi facendo qui? Non credo di averti visto prima da queste parti: e perchè non ti sei fatto sparare addosso al tuo paese?". Dopo averlo perquisito, il capitano apprende nome (Harry) e provenienza (Boston) del defunto: in ogni caso ha deciso di far sparire il cadavere nascondendolo da qualche parte. Peccato, però, che ci sia già un testimone, sopraggiunto sul luogo della disgrazia, delle sue riprovevoli azioni: si tratta della signora Ivy Gravely (Mildred Natwick), la zitella del paese con un debole proprio per il capitano. Perciò chiuderà un occhio, promette:
"Non dite niente a nessuno, Miss Gravely!".
"Fate come credete meglio: voi di certo vi sarete già trovato in situazioni simili nei vostri viaggi per mare".
"Oh sì! E anche peggiori, per la verità...".
"Non dirò niente, state tranquillo!".
"... ben peggiori: ricordo che una volta, sull'Orinoco, ci fu un turco, un omaccione grande e grosso, che con una scimitarra...".
"Capitano, se io dovessi nascondere una disgrazia, non perderei tempo".
Dopo i saluti e l'appuntamento nel pomeriggio per "qualche focaccina con i mirtilli assieme a un buon caffè... mirtilli di macchia... e magari anche un goccio di vin dolce", il capitano Wiles vorrebbe finalmente dedicarsi alla rimozione del cadavere, ma è di nuovo costretto a rimandare ogni proposito: sta tornando Arnie, infatti, e questa volta accompagnato da sua madre Jennifer (Shirley MacLaine). Una smorfia di stupore appare sul volto del capitano, nascosto tra alberi e cespugli a osservare la scena, quando nota che non solo la donna conosce il morto, ma si dimostra persino felice per la sua dipartita ("Harry? Sia lodata la provvidenza: è finita!"). Madre e figlio tornano, poi, verso casa, ma Wiles non può ancora abbandonare il proprio nascondiglio perchè il viavai di gente non accenna a esaurirsi ("Nemmeno avessi venduto i biglietti: che cos'è che li attira tutti qui?"): prima, infatti, sopraggiunge uno stralunato passante, il dottor Greenbow (Dwight Marfield), talmente rapito dalla lettura di un libro da inciampare nel cadavere e rialzarsi come se niente fosse e senza accorgersi di nulla, poi, per la gioia del sempre più sconcertato capitano ("Meglio sedersi e aspettare che il mondo intero sia venuto a rendergli l'estremo omaggio... E non mi stupirei che ci capitasse anche il vicesceriffo"), è la volta di un barbone, che fortunatamente si interessa soltanto alle scarpe del defunto Harry, gliele sfila e, soddisfatto, riprende le sue peregrinazioni. Ora il capitano Wiles può finalmente tirare un sospiro di sollievo: forse, però, si rilassa troppo. La tensione accumulata, infatti, lo coglie, ormai spossato, mentre si abbandona a un meritato sonno all'ombra di un albero.
In tutto, tredici irresistibili (e, hitchcockianamente, indimenticabili) minuti di incipit...
Il resto...
Servirebbe veramente a qualcosa raccontare in dettaglio i rimanenti 86 minuti di film dopo un incipit di questo calibro?
Il film...
La congiura degli innocenti costituisce, all'interno della filmografia del suo illustre autore, la terza collaborazione (dopo La finestra sul cortile e Caccia al ladro e prima del loro lavoro conclusivo, ovvero L'uomo che sapeva troppo) con lo sceneggiatore John Michael Hayes: quattro opere profondamente differenti dai precedenti (e successivi) film di Hitchcock, interamente percorsi da un'insolita giocosità di fondo e che proprio in questo spumeggiante titolo, che segnò, tra l'altro, l'esordio sul grande schermo di Shirley MacLaine, trovano un'irripetibile quadratura del cerchio sublimando nel black humour (che già aveva fatto capolino con sommo spasso in La finestra sul cortile) la causticità dello sguardo. Qui Hayes trae spunto per la vicenda dall'omonimo romanzo (1949) di John Trevor Story: il risultato è una deliziosa e nerissima commedia, immersa nei paesaggi mozzafiato del Vermont (dove il film venne parzialmente girato: un'improvvisa ondata di maltempo, infatti, costrinse la troupe a completare le riprese negli studios della Paramount) e venata da irresistibili guizzi di macabro, in cui il ritratto dell'ambiente di provincia diviene affilata metafora dell'umana idiozia e giocoso girotondo delle beffarde combinazioni del Caso. Il gioco hitchcockiano, stavolta, si esalta nel trasformare ben presto la domanda iniziale insinuata nello spettatore (chi ha ucciso Harry?) in un ben più "subdolo" interrogativo (che cosa ne faranno del cadavere di Harry?): la leggerezza dell'understatement, perciò, viene eletta a cifra stilistica su cui ricamare una fitta e giocosa tela di sospetti e false certezze, in cui ogni mezzo e artificio stilistico concorrono a scatenare suspense e mistero per poi venire impietosamente demoliti dall'irridente escalation di follia della vicenda. Ed è proprio questa travolgente atmosfera di insensatezza che percorre il film da cima a fondo, a rendere ancora più straniante il contrappasso drammaturgico nella commedia dell'assurdo (per certi versi sembrano molto più "incredibili" le vicissitudini del cadavere dello sventurato Harry, che l'incontro con lo squilibrio psichico, il caos, il paradosso, le insane passioni dei film successivi, dai tormenti di Scottie Ferguson e Roger Thornhill fino ai crimini di Norman Bates): lo spettatore, perciò, travolto da una frenetica escalation di clamorose idiozie (banalmente riconducibili a una pura e semplice alternanza di "seppelliamo/disseppelliamo il cadavere"), eventi, cioè, talmente "impossibili" da scombinare ogni logica, finisce per lasciarsi travolgere dalla surreale danza di imbecillità che sfilano sullo schermo. Non solo: più il pubblico, poi, si avvicina ad ammettere che "no, non l'avrei mai detto, eppure..." (uno dei fondamentali meccanismi "indotti" della scrittura hitchcockiana più tipici nella poetica cinematografica dell'autore), più i toni della commedia e la levità del film si colorano di sfumature beffarde, acide, insofferenti al cosiddetto senso comune, ma, per questo motivo e per la magia della scoppiettante miscela, tremendamente realistiche. La consapevolezza, nello spettatore, di questo ribaltamento di senso (dall'Assurdo al Reale) nella propria percezione degli sviluppi del plot , non è altro, infine, che l'evidente effetto della natura del gioco (orchestrato su guizzi di amabile ma velenoso nonsense e scandito da esemplificative e ripetute battute-cardine dei dialoghi, da "Nessuna persona ragionevole potrebbe darvi torto" a "Che orribile complicazione!"): che la trama, poi, possa reggersi quasi esclusivamente sull'unico filo dell'understatement, quindi apparire evidentemente esile, resta implicito nelle premesse dell'approccio, giustificandosi proprio nella scelta di eccedere con l'(auto)ironia della commedia. Le occasioni di divertimento e la "leggerezza" dell'impostazione non si esauriscono, ovviamente, nell'incipit, ripartendo, anzi, proprio da quella verve nel riprendere le redini del racconto: come, ad esempio, per la successiva entrata in scena del protagonista maschile John Forsythe, qui nei panni dell'eccentrico e disinvolto pittore Sam Marlowe, che, canticchiando allegramente Flaggin' the Train to Tuscaloosa (testi di Mack David, musiche di Raymond Scott), raggiunge il negozio della signora Wiggs (Mildred Dunnock) e si esibisce insieme a lei in un effervescente siparietto a base di gag e battute. Ma sono ancora molti i personaggi, i ruoli, i simboli e gli oggetti impegnati a "segnare" la vicenda: dal personaggio del vicesceriffo Calvin, nella cui ostinazione si trasfigura l'accanimento del Caso, alle rane e alle lepri del piccolo Arnie, dai dialoghi tra il capitano Wiles e Miss Gravely alla tazza da tè, dalla porta difettosa del ripostiglio nell'abitazione di Shirley MacLaine alle scarpe e al ritratto del cadavere "vilipeso" (con il memorabile primo piano dei piedi), fino al registratore di cassa ("Cromato con il campanello, mi raccomando") di Miss Wiggs. Uno spettacolo dal fascino contagioso, dove alla bravura del cast di interpreti si aggiungono le smaglianti qualità della messinscena, esaltata ulteriormente dal meraviglioso e scintillante Technicolor di Robert Burks (con Hitchcock in quasi tutti i suoi film da Delitto per delitto a Marnie) e dalla fantastica colonna sonora di Bernard Herrmann, alla prima delle sue storiche collaborazioni con il regista, e di cui, senza fermarsi all'irresistibile tema principale (che scorre sin dai titoli di testa), basterebbe ricordare l'incanto della melodia degli archi che accompagna la sequenza notturna, con il quartetto di protagonisti al completo, dell'ennesimo disseppellimento del cadavere. Poi, capolavoro nel capolavoro, lo sberleffo finale, sottolineato dal conclusivo "The Trouble with Harry Is Over", che appare sullo schermo proprio quando il film finisce (tornando al suo punto di partenza).
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