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La prima notte di quiete

Regia di Valerio Zurlini vedi scheda film

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La recensione su La prima notte di quiete

di daveper
8 stelle

La prima notte di quiete (1972), diretto da Valerio Zurlini, rappresenta una delle opere più intense del cinema italiano, un ritratto denso e malinconico che si allontana nettamente dalle atmosfere felliniane della Rimini marittima per immergersi in una narrazione intima e crepuscolare.  Zurlini sfuma i contorni di un dramma interiore complesso, incastonato in un paesaggio che riflette l’aridità emotiva del protagonista. Daniele Dominici, interpretato da un Alain Delon enigmatico e misurato, è un uomo che ha perso la bussola, sospeso tra un passato che non offre risposte e un presente segnato da una profonda insoddisfazione.

Daniele è un personaggio che incarna l’alienazione moderna in tutta la sua disillusione. Professore di lettere senza vocazione, appare quasi assente nel suo ruolo di educatore, incapace di trovare uno scopo nell’insegnamento o di entrare in connessione con i suoi studenti. La contestazione giovanile, che in quegli anni stava scuotendo le scuole italiane, rimane per lui uno sfondo distante, un rumore che non riesce a toccare la sua apatia. Zurlini, attraverso Daniele, ci offre una riflessione sui vuoti esistenziali e sulle illusioni spezzate, in un momento storico che cerca di ridefinire se stesso ma che lascia fuori dalla rivoluzione chi è già troppo consumato dalla propria fragilità interiore. Daniele convive con Monica (interpretata da Lea Massari), ma il loro rapporto è una convivenza di circostanza, priva di autentica passione, e riflette un legame vuoto, ancorato più all'abitudine che a un reale sentimento. L’incontro con Vanina (Sonia Petrovna), sua giovane allieva, sembra essere l’unica scintilla in un’esistenza votata al disincanto. Vanina diventa per Daniele una figura idealizzata, una proiezione della purezza perduta, e allo stesso tempo un emblema di giovinezza e freschezza che gli sfugge. Il loro rapporto, però, non è un semplice amore irrisolto, ma un gioco di attrazione e distanza che si inserisce perfettamente nel contesto autunnale del film, dove tutto sembra destinato a morire prima di sbocciare.

Zurlini dipinge una Rimini desolata, spoglia, priva della vitalità estiva che solitamente caratterizza la città romagnola. Le immagini fredde e nebbiose, dominate da una luce spenta e da toni grigi, sembrano riflettere l’animo del protagonista, creando una simbiosi tra paesaggio interiore e paesaggio esteriore. Questa Rimini si allontana radicalmente dalla visione felliniana della città, brulicante di vita e di eccessi carnali, per diventare un luogo sospeso tra il passato e il presente, dove ogni cosa sembra in procinto di scomparire.

In questo contesto, Alain Delon offre forse una delle sue interpretazioni più sfumate e potenti. Lontano dal fascino glaciale e dalla violenza latente dei suoi ruoli precedenti, Delon si mette a nudo, incarnando un personaggio che, dietro una facciata impassibile, nasconde una fragilità dolorosa. Il suo Daniele è un uomo stanco, consumato dall’interno, incapace di trovare un senso nelle cose. La sua relazione con Vanina non è altro che un’ulteriore prova della sua incapacità di sfuggire a un destino segnato.

Delon porta sullo schermo la sua consueta aura enigmatica, ma qui il suo fascino glaciale si arricchisce di una vulnerabilità più sottile, rendendo Daniele Dominici uno dei suoi ruoli più complessi. Tuttavia, dietro le quinte, la collaborazione tra l’attore e Zurlini non fu priva di tensioni. Delon, oltre a recitare, era anche uno dei produttori del film, un ruolo che gli diede potere decisionale sul set, con cui esercitò una serie di "capricci" tipici delle grandi star dell’epoca. Questa sua attitudine non piacque a Zurlini, regista noto per il suo desiderio di instaurare con i suoi attori un rapporto di fiducia e collaborazione che andasse oltre il semplice lavoro cinematografico. Le tensioni tra i due furono inevitabili.

È un film sulla solitudine, sull’impossibilità di trovare un senso nella vita e sull’incapacità di comunicare con gli altri, raccontato attraverso un’estetica che riflette la malinconia dei suoi personaggi.

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