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Vacanze a Natale

Regia di Robert Siodmak vedi scheda film

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La recensione su Vacanze a Natale

di twoems
7 stelle

Il riferimento al Natale in questo film di Robert Siodmak è solo un pretesto, la cornice di una torbida storia d’amore destinata al naufragio violento nel retro di un locale notturno. In Vacanze a Natale, Christmas holiday, il regista tedesco sovverte le regole del melodramma, dedicandosi a molti di quei temi tipici del cinema noir che negli anni successivi (quelli dei suoi I gangsters, Doppio gioco, La scala a chiocciola) caratterizzeranno molto del suo cinema, a cominciare dall’uso suggestivo dei flashback, qui squarci di oscurità in una storia sentimentale che parte in maniera del tutto convenzionale per poi rivelare un cuore nero.
Il film si apre sulla promozione a tenente del giovane Charles (Dean Harens) pronto a tornare a casa per il congedo natalizio. Il suo progetto è quello di sposarsi il giorno successivo al Natale, ma poco prima della partenza riceve una lettera d’addio dalla fidanzata, convolata a nozze con un altro. Il militare decide comunque di far ritorno a San Francisco, l’aereo è però costretto a un atterraggio imprevisto a New Orleans per via del maltempo, mentre i passeggeri vengono accompagnati in hotel in attesa di un nuovo volo. Un giornalista appena conosciuto lo porta con sé in un locale notturno, dove farà la conoscenza della languida e malinconica Jackie (vero nome Abigail, interpretata da Deanna Durbin). L’anima noir di Vacanze a Natale si svela subito dopo: con la narrazione disarticolata in due lunghi flashback che raccontano di come la ragazza abbia inteso la vera natura di suo marito Robert (Gene Kelly), Siodmak  spezza la linearità del racconto e gli dà quel tono teso e fatalistico tipico del cinema nero, rievocando a ritroso prima la scoperta di un omicidio da lui commesso, poi l’incontro casuale degli sposi durante un innocente concerto di musica classica. Ma sono anche l’angoscia e il dubbio della ragazza nei confronti del compagno, l’intervento del caso, l’ambigua relazione madre-figlio, a rendere incisivo e cupo il film. In particolare Siodmak dimostra di saper utilizzare sapientemente il linguaggio filmico (splendide alcune soluzioni visive), e gioca come suo solito con gli ambienti e con la fotografia: davvero bella ad esempio la sequenza finale dell’incontro-scontro fra Abigail e Robert nel buio fitto di una stanza, dove le ombre li avvolgono e li soffocano, e dove si compie il finale catartico.
Come evidenzia Renato Venturelli nel suo volume “L’età del noir”, nel film è presente uno dei motivi preferiti da Siodmak, quello della scala, salita in una scena dal personaggio della madre di Robert mentre va a nascondere il bottino del figlio. L’elemento architettonico “collegamento tra un sopra e un sotto della mente“, si impone come cuore inquietante del mondo familiare, in un ambiente domestico che nel suo scandire la vicenda diviene via via più cupo e fosco.
(MM)

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