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Lucky Day

Regia di Roger Avary vedi scheda film

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La recensione su Lucky Day

di supadany
3 stelle

Prima o poi, chi non muore, si rivede. Tuttavia, i ritorni in pista non sono per forza piacevoli/idilliaci come vorremmo, soprattutto quando vengono – volenti o nolenti - automaticamente caricati di importanti/inopportune aspettative, che derivano da una conoscenza forgiata sulla stima ma ferma in quella che è, a tutti gli effetti, un’altra epoca geologica. D’altronde non si può fare finta di niente, il tempo trascorre inesorabile e non annovera la clemenza tra le sue attitudini abituali, tanto più se da un lato (lo spettatore) tutto è cambiato drasticamente e dall’altro (l’autore) la spina viene riattaccata come se nel frattempo non fosse avvenuto nulla.

Con Lucky day, Roger Avary torna a farsi vivo dopo una quindicina di anni, durante i quali ha visto arenarsi vari progetti a cui teneva parecchio e ha dovuto per giunta affrontare gravose vicissitudini extra cinema, per le quali è stato anche in prigione. Segnatamente, l’indimenticabile sceneggiatore (tra gli altri, ha collaborato con un contributo tangibile a Pulp fiction e a Una vita al massimo) e regista di almeno un paio di cult generazionali (Killing Zoe, Le regole dell’attrazione), realizza un film eccedente e stucchevole, di cui non si sentiva minimamente la mancanza, accartocciato su se stesso e con direttive improvvide, scarsamente redditizie, che fa acqua da tutte le parti, destinato a essere dimenticato alla velocità della luce e forse è la cosa migliore che gli si possa augurare.

Dopo due anni passati in carcere in seguito a una rapina finita malissimo, Red (Luke BraceyPoint break, The best of me) può finalmente riabbracciare sua moglie Chloe (Nina DobrevThe vampire diaries, The final girls) e la figlia.

Contemporaneamente, Luc (Crispin GloverRitorno al futuro, American Gods), un killer infallibile ed efferato, si mette sulle sue tracce per regolare a modo suo una questione aperta.

La resa dei conti è inevitabile e coinvolgerà direttamente anche Sanchez (Clifton Collins Jr. - Tigerland, Truman Capote – A sangue freddo), l’agente di custodia che controlla tutti i movimenti di Red.

 

Luke Bracey, Nina Dobrev

Lucky Day (2019): Luke Bracey, Nina Dobrev

e

Scritto e diretto da Roger Avary, Lucky day è una sorta di falso sequel di Killing Zoe. Un film fuori tempo massimo che, attraverso i suoi ostentati stilemi pulp, inscena un doppio movimento, con un faticoso ritorno alla vita e un’insaziabile sete di vendetta, in costante alternanza tra loro e posti in rotta di collisione, tra deviazioni e forzature.

Del primo frangente, non rimane quasi nulla in mano, con uno scheletro narrativo che non sa che pesci pigliare e che tasti pigiare, con riempimenti risibili e/o appena accennati, che lasciano/lanciano giusto una - neanche tanto velata - critica all’ambiente artistico, tra chi decide il destino altrui con priorità estranee al contesto specifico e chi emerge in virtù del classico colpo di fortuna e non grazie al talento naturale.

Nel secondo, prende corpo una carneficina, plateale e delirante, grottesca e sprezzante, che non fornisce soluzioni minimamente in grado di far urlare a squarciagola al miracolo, che se non altro regala un cospicuo numero di corpi squartati e prima ancora premia un Crispin Glover invasato al punto giusto, l’unico elemento dell’intero film a uscirne abbastanza bene.

Insomma, la qualità scarseggia, l’ispirazione è latitante e lo svolgimento vede più volte accendersi la spia della riserva (di idee, di intuizioni da conservare, di variazioni sul tema), con tanto fumo e poco arrosto, con dialoghi impacciati e dissestati (aspetto particolarmente stridente considerando le riconosciute qualità di Roger Avary), sparando perlopiù a salve, consegnandosi - senza disporre di grosse difese immunitarie - a un pubblico che solo in rarissimi casi troverà appigli/valori sufficienti per non cestinarlo in malo modo.

 

 

Crispin Glover

Lucky Day (2019): Crispin Glover

 

 

Alla fine, del fluido magico dei tempi migliori (e andati) sono rimasti solo estemporanei rimasugli/rigurgiti ma Roger Avary sembra infischiarsene bellamente, rispolverando un know how tanto vistoso quanto ormai inflazionato, altrettanto sospirato e al contempo squinternato, che lo porta a infilarsi in un cunicolo con sbocchi ridotti al lumicino, compiendo quello che si può tranquillamente definire un passo falso in piena regola.

Con sfizi scostumati e improduttivi, invadenti e stonati, che in alcuni casi lasciano letteralmente senza parole, e con personaggi poco raccomandabili che avrebbero potuto conferire rinforzi invece latitanti, battendo un ferro non più caldo da un pezzo, per un tragitto – di soli novanta minuti ma con almeno quindici/venti di troppo - più evanescente che infiammabile, nel quale quasi tutto è sovraccaricato e caricaturale, sbilenco e posticcio, esposto a ruota libera e sprovvisto di spazi sicuri nei quali trovare riparo.

Una cocente, per quanto fosse mediamente pronosticabile, delusione.

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