Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Un film di guerra tecnicamente memorabile, ma sminuito dalla sua stessa retorica, falsa e fastidiosa. Comunque non piatto: capace di mostrare tutti gli aspetti della guerra, anche quelli più inaccettabili, oltre a quelli colpevolmente retorici.
Il meglio il film lo dà nel realismo dell’orrore della guerra; la fotografia è perfetta, gli effetti speciali nella ricostruzione delle scene belliche pure. La scena iniziale dello sbarco, come quella finale della difesa del ponte, sono straordinarie scene d’azione, e del tutto realistiche e, purtroppo storiche. Ad esse si aggiunge la morte “in diretta” del dottore, come corollario di una denuncia dell’inaccettabilità della guerra in sé. Inoltre i soldati lottano, ma non sanno bene perché: lo fanno per sopravvivere, ma non per ricavarne guadagni. Insomma, lo spettatore ha la corretta percezione dell’antimilitarismo che percorre la sceneggiatura: sacrifici e rischi del genere possono facilmente rovinare una vita intera, e non ne vale mai la pena.
Detto dei pregi, bisogna vedere i difetti. Il film è un po’ troppo lungo; le scene di pausa fra le battaglie sono tempi morti, poco significativi nel complesso. Ma soprattutto non si può tacere l’insostenibile menzogna retorica filoamericana: del resto Spielberg si fa ben assecondare dalle letture storiche ideologizzanti, riduttive e false, tipiche delle classi dirigenti a stelle e strisce, specie se declinate alla maniera sionista (che si nota anche in questo film, e che del resto, come è noto, gli appartiene per tradizione). Qui siamo nel ’98: Lincoln del ’12 non fu diverso, come anche prima Schindler list del ’93. La musichetta che suggerisce profondità, solennità e pathos, è il degno contraltare di una fiaba dal lieto fine: gli americani arrivano a salvare all’ultimo momento, con aerei e fanteria soverchianti. Ma resta una fiaba: che dai vertici arrivi l’ordine di salvare l’ultimo figlio sopravvissuto della famiglia Ryan, per consegnarlo alla madre altrimenti ormai sola per la perdita in guerra degli altri figli, non è credibile, soprattutto se per fare ciò tanti altri rischiano di morire (e infatti muoiono in tanti a tale scopo). Uno stato che sacrifica le sue forze alle esigenze umane, pur rispettabilissime, di una famiglia non altolocata non è credibile; magari lo fosse, ma solo se tutte le famiglie non altolocate venissero trattare così. È lo è ancor meno il guizzo del “salvato dalle acque”, quel Ryan che a quel punto potrebbe vedere coronato il suo sogno, legittimo, di veder finita la guerra e tornarsene a casa. Ma no, l’americano indomito vuole restare in prima linea, pur di non abbandonare i connazionali. Altra balla ridicola, un eroismo di quel tipo. E perché, tutto ciò? Perché gli americani sono alfieri della vittoria dell’umanità, cioè della libertà, sulla tirannide. La bandiera americana sgualcita, con cui si chiude il film, commenta un ideale molto più falso che vero, che infatti come contraltare ha bisogno della resa disumanizzante del tedeschi: che non hanno alcuna profondità, e sono più sporchi e più brutti degli americani, che invece a loro modo appaiono tutti come eroi, mentre i nemici appaiono come se fossero tutti automi del male. Lì i nazisti, poi gli alieni e i russi, oggi cinesi e gli iraniani, assieme ai russi. Insomma la solita caricatura del nemico iniquo condanna parzialmente anche un’opera come questa. Aspettiamo ancora che Spielberg, o grande produzioni foraggiate dalle alte sfere statunitensi, descrivano i crimini perpetrati dagli Stati uniti. Di esempi, che non hanno minore dignità di questo, la storia, recente e non, sovrabbonda. Ma stiamo ancora aspettando. Invano ? Eppure la serietà, ovvero l’onestà intellettuale, lo impone.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta