Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Storia di un'operazione di recupero nel corso della quale vi è l'occasione di porsi i dilemmi morali più disparati: il peso della vita umana, l'ecologia della guerra, il senso di combattere, il rapporto col nemico. Le scene d'azione sono spettacolari, girate magistralmente e molto immersive (lo sbarco in Normadia è da antologia del cinema bellico), il resto del film è un coacervo di retorica filo patriottica della più stomachevole. Due sequenze sono particolarmente inaccettabili nella loro inverosimile idiozia: la declamazione della lettera di Lincoln e la morte del capitano Miller. La prima, oltre ad attribuire un'attenuante pseudo romantica alle carneficine che seguiranno, fa apparire l'apparato dirigente del sistema bellico come formato da gentili vecchietti con la lacrimuccia, un po' nostalgici e un po' nonnetti col maglione cucito a mano (nella miglior tradizione disneyana). La seconda, al di là del fatto che sia grammaticalmente da asilo nido (Hanks ci mette un secolo a tirare le cuoia e riesce pure a dire la sua frase ad effetto, tutte le altre morti invece non hanno la minima enfasi), è puerilmente finalistica, da spot della Mulino Bianco: risulta evidente anche ad un bambino che se Ryan ha vissuto una vita meritevole (in cui il termine "meritevole" risulta corrispondere a "costruirsi la famiglia Mattel", quanto è volgarmente posticcio tutto questo...) soltanto perché glielo ha detto il capitano faccione, la sua sarà stata una vita impregnata di sensi di colpa, forzata, finta e costipante, ed è proprio ciò a rendere il sacrificio dei soldati realmente inutile. Ma anche tutto il resto non scherza: l'apertura col bandierone americano sventolante (manco fosse un film di Michael Bay...), la scena in cui il soldato tedesco viene lasciato andare (ma quanto sono bravi i nostri eroi...), il momento in cui tutti decidono di gettarsi a capo fitto nella battaglia finale e così via. Peccato che manchi Chuck Norris, poi saremmo stati a posto.
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