Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Un bancario romano viene chiamato dai parenti nella natia Rosignano Solvay, dove il padre sta morendo. Il simpatico uomo rifiuta il concetto stesso della morte del padre, ma approfitta della circostanza per fare un viaggio con l’amante, una giovane americana. Uno dei peggiori film di Monicelli. Già dallo squillo dei telefoni, sembra di essere in un film americano. Ed infatti si tratta di una coproduzione, i cui effetti nefasti ricadono sull’intero film, che avrebbe potuto, grazie all’ambientazione toscana, dare dei frutti meno avvizziti. Purtroppo, contrariamente ad ogni logica, già dal grossetano (compresa l’Isola del Giglio) e poi a Rosignano, i personaggi parlano un fastidioso ed incongruo fiorentino e la scelta appare tanto più colpevole per quanto il viareggino Monicelli sa benissimo come si parla in provincia di Livorno. Al di là di questo, comunque, è il tono generale del film a non convincere pienamente: un Giannini in tono minore, interprete di un personaggio abbastanza spregevole, si contrappone ad una Goldie Hawn di scarsa personalità, mentre la scena madre, quella del funerale, che sarebbe potuta essere il vero e proprio clou di tutto il film, si risolve in una buffonata, anche perché la processione si blocca ad un passaggio a livello e l’intera sequenza è incoronata dal predicozzo del soggetto meno indicato a farlo, cioè lo stesso Giannini. A mio parere, c’è qualche personaggio di troppo (come quello dell’amante del babbo, affidato ad una spenta Andréa Férreol), mentre quelli che ci dovevano essere, soprattutto le donne, sono fin troppo sacrificati. Al tempo stesso, si rivede volentieri qualche attore di buono spessore, come Renzo Montagnani, ed un altro, scomparso troppo presto, il Mario Pachi già apprezzato in “Berlinguer ti voglio bene”. Ma la più brava di tutti è Nunzia Fumo, che, grazie al suo mestiere, in Toscana ci sembra nata e non fa la macchietta fiorentina.
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