Regia di Costa-Gavras vedi scheda film
La storia vera di Artur London, vice-ministro degli esteri cecoslovacco, che nei primi anni 50' verrà imprigionato, insieme ad altri funzionari, dalla polizia politica stalinista e costretti a confessare colpe e crimini mai commessi. Se Gerorge Orwel avesse avuto la fortuna di vivere un po' più a lungo, avrebbe considerato questo film la perfetta messa in immagini dei suoi incubi e del suo talento visionario. LA CONFESSIONE e' uno dei capolavori del regista greco, ma francese di adozione, Costa-Gavras, che nonostante le sue inclinazioni politiche spostate a sinistra, non si fa il minimo scrupolo a denunciare la deriva stalinista presa dall'Unione Sovietica dopo la storica rivoluzione d'ottobre del 1917. In 140 minuti di pellicola, peraltro girate pressoché tutta in interni, assistiamo alla vera e propria odissea di un gruppo di funzionari comunisti nella a Praga del 51', in particolar modo del vice-ministro Artur London interpretato dall'intenso Yves Montand, vittime delle purghe staliniste del dopoguerra e accusati di svariate colpe: Trotzikismo, Titoismo, Sionismo, corruzione borghese occidentale e chi più ne ha più ne metta. Interrogatori che avvengono in edifici grigi, cupi e degradati, con pressioni psicologiche tali da influenzare lo spettatore stesso. Non riesco a capire come Filmtv possa considerare il film "un po' noioso". "Cammina", questa e' la frase ricorrente che si sente continuamente pronunciare nel film, rivolta a Yves Montand, durante interrogatori che scivolano inevitabilmente nel fanatismo e in una retorica perversa che ha annientato una dottrina politica che avrebbe dovuto rappresentare la "giustizia sociale". Prigionieri politici privati del sonno, cibo e acqua, per annientarli psicologicamente. Molto meglio di una tortura con metodi "medioevali". Quando l'accusato e' sul punto di crollare ed e' disposto a confessare qualsiasi cosa, gli inquisitori, che poi diverranno inquisiti loro stessi, come il viscido e odiosissimo Kohourtek/Gabriele Ferzetti, diventano molto più malleabili e gentili, chiedendo addirittura "scusami" e accendendo personalmente la sigaretta all'accusato. Processi farsa, con imputati che confessano a memoria colpe mai commesse, che si trasformano in situazioni grottesche e tragicomiche, come l'imputato, peraltro provatissimo, che durante la confessione gli si calano i pantaloni, provocando l'ilarità in tutta l'aula, compresi giudice e pubblica accusa. Film di una durezza sconcertante degna del già citato Orwel, senza però dimenticare il Kafka de IL PROCESSO. Niente lieto fine, infatti nonostante la liberazione nel 1955 di London e la sua riabilitazione nel 1965 (non saranno altrettanto fortunati la maggior parte degli altri inquisiti), quest'ultimo si recherà nel 1968 a Praga dalla Francia, dove viveva e dove aveva combattuto contro i nazi-fascisti, per presentare il suo libro-verità, proprio mentre i carri armati sovietici mandati da Breznev occupavano una delle città più belle al mondo. Proprio nel 1968, con la primavera di Praga, Montand si allontanerà dalla militanza comunista, di cui l'attore di origine toscana ne era sempre stato un convinto sostenitore, per divenire un acerrimo anti-stalinista e sostenitore di tutte le cause riguardanti i diritti umani.
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