Regia di Jesús Franco vedi scheda film
Co-produzione franco-ispanica che segue la scia tracciata da Freda e Bava senza subire troppo sotto il profilo qualitativo. Franco, anche a causa dell'anno di lavorazione, gira in bianco e nero strizzando un occhiolino a Murnau (il riferimento va a Nosferatu), ma al contempo dando origine a una sceneggiatura moderna e coraggiosa per l'epoca. Siamo infatti alle prese con un horror che plasma vari sottogeneri, dando vita a un prodotto interessante. Franco attinge sia da Dracula che da Frankenstein e addiruttura da Lo Strano Caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde. E' proprio Stevenson l'autore a cui il regista sembra ispirarsi maggiormente. La storia infatti ha una costruzione da poliziesco/thriller, con un poliziotto (Conrado San Martin, lo ritroveremo in alcuni spaghetti western come All'Ombra di una Colt) che indaga sua una serie di donne scomparse. Protagonista dei rapimenti è un mad doctor, il dottor Orlof, interpretato dal glaciale svizzero Howard Vernon (il quale diventerà un attore feticcio del regista), che agisce coadiuvato da un gigante (Ricardo Valle) affetto da una lesione al cervello (è persino cieco) e che è una via di mezzo tra Dracula (infatti morde al collo le vittime) e Frankenstein (il volto è deturpato e le movenze sono impacciate). Quest'ultimo, tra l'altro, si scoprirà essere un ex assassino dichiarato morto dal professore, il quale lo ha invece soggiogato al suo volere per sfruttarne la forza. Il movente degli omicidi ha una connaturazione fantascientifica ispirata (si potrebbe dire copiata) piuttosto marcatamente dalla pellicola francese Occhi senza Volto (1960) di Georges Franju. Il Dottor Orlof, infatti, uccide le ragazze per prelevare la pelle necessaria a ricostruire il volto della figlia (Diana Lorys) rimasta sfigurata nel corso di un esperimento scientifico. La follia dell'uomo lo porterà a praticare incisioni (non mostrate nella versione da me visionata) a prigioniere ancora in vita, tenute legate a delle catene nelle segrete di una sorta di magione gotica. Lo script è molto quadrato, rispetto ad altri del regista, così come la regia è piuttosto convenzionale, con Franco che sembra voler richiamare alla memoria l'espressionismo tedesco (peraltro riuscendoci con alcune sequenze tese) nel tentativo di unirlo al nascente horror gotico italiano. Ne deriva un'ambientazione da primi del novecento, dove al posto delle auto ci sono carrozze trainate da cavalli, castelli, cripte e via dicendo. L'erotismo è ancora assente e si sostanzia solo in alcuni atteggiamenti galanti di Vernon, il quale seduce ad arte le giovani prede con l'intento di usarle per i suoi biechi esperimenti. E' invece già presente quell'alone malinconico che accompagnerà buona parte della produzione di Jess Franco. Sia lo psicopatico di turno che il suo assistente sono personaggi tristi, quasi abbandonati al loro destino. Il primo cerca di ricostruire ciò che ha perduto costruendosi un sogno che non può far altro che tramutarsi in un incubo (arriva persino a uccidere la compagna); l'altro vaga come un automa fino a ribellarsi al suo padrone, quando troverà il cadavere dell'unica donna che lo ha trattato con amore, cercherà infine di portare in salvo la figlia di Orlof ma sarà abbattuto dalla polizia che invece pensa stia per compiere un altro omicidio. Momenti embrionali di poetica macabra di Franco, che poi da spazio all'intreccio poliziesco. A quest'ultimo riguardo Franco piazza una simpaticissima sequenza, piuttosto comica, con San Martin costretto a vedersela con un gruppo di testimoni convinti della propria idea circa il profilo fisico dell'assassino. Il problema è che i vari commenti sono spesso l'uno contrastante con l'altro, con l'addetto alla stesura dell'identikit costretto a modificare di continuo lo schizzo. Emerge inoltre una vaga vena sarcastica del regista, che meleggia la polizia facendo risolvere il caso grazie all'intervento di un ubriacone accanito di vino e alla fidanzata (sempre la Lorys che interpreta due ruoli) del protagonista, una curiosa che si mette a indagare per conto proprio fino a farsi rapire dal ricercato. L'impressione viene confermata dall'ultima battuta del film, col protagonista che rivolgendosi alla giovane dirà: "Sei il miglior poliziotto che ci potrebbe essere..." Il titolo italiano, piuttosto furbo, è poco appropriato ed è ben diverso da quello originale. Il riferimento al Satana è connesso alla dichiarazione di un testimone che descriverà il rapitore seriale come "un uomo con gli occhi di Satana". Jess Franco sarà così legato al soggetto da riproporlo più volte e con risultati buoni come nel caso de I Violentatori della Notte (1988), horror in cui spingerà il piede sul versante dello splatter mettendo in scena forse il miglior cast artistico di tutta la sua produzione. Dunque un inizio promettente che spianerà la strada a Jess Franco nel genere e lo porterà presto a sposarlo con l'erotico a partire da Necronomicon (1966), titolo lovecraftiano ma poi sviluppato in modo assai personale.
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