Regia di Chloé Zhao vedi scheda film
La quarta fase dell’MCU non è iniziata al meglio: tralasciando le malriuscite serie televisive, Black Widow e Shang-Chi si sono rivelati due film di passaggio, abbastanza dimenticabili a giudizio di chi scrive; Eternals arriva perciò con l’intento di sparigliare le carte in tavola. La voglia di ampliare gli orizzonti per il futuro di quella che, a conti fatti, è la prima serie tv su grande schermo viene testimoniata da diversi elementi: in primis la scelta di Chloé Zhao alla regia, fresca di Leone d’Oro e Premio Oscar per Nomadland, indica la precisa scelta di conferire maggiore autorialità al film; in secundis la presenza di tematiche più mature e riflessive segnala l’intenzione di rivolgersi a una platea più vasta di quella finora conquistata.
In un certo senso, le ambizioni paiono commisurate alle dimensioni: 156 minuti di durata, ben dieci personaggi principali, un respiro millenario della narrazione che attraversa secoli ed epoche, superando i confini terrestri per guardare allo spazio ignoto. Su questo punto è evidente come Feige e soci sentano il bisogno di rifondare il proprio universo dopo la chiusura di un ciclo: l’ultimo Avengers ha rappresentato il caso più eclatante, in termini di successo, del cinema blockbuster contemporaneo e sebbene il sottoscritto non sia affatto tra gli estimatori del progetto MCU va tuttavia riconosciuta un’importanza, quantomeno storica, alla conclusione del progetto decennale. Volenti o nolenti, noi spettatori ci siamo dovuti confrontare con ciò che è considerabile la nuova mitologia popolare di quest’epoca: i supereroi sono diventati il simbolo per eccellenza del ventunesimo secolo cinematografico. Interessante sarebbe aprire uno spaccato sociologico per analizzare a fondo le cause di tale successo, partendo dal seminale Spider Man di Sam Raimi uscito all’indomani della tragedia dell’11 settembre, ma non è questo lo spazio adatto.
Tornando ai giorni nostri, personaggi come Iron Man e Capitan America, i due volti simbolo del franchise, in Avengers: Endgame vengono meno insieme a molti dei personaggi trainanti della saga. Senza più eroi di punta, ma liberi di poter cambiare passo, i vertici produttivi hanno deciso di optare per una rivoluzione al fine di ripopolare con altri volti quest’epica contemporanea: Eternals nasce con lo scopo di introdurre un nuovo racconto e un registro differente, volendo far passare la Saga dell’Infinito come semplice antipasto di ciò che verrà. Oltre a quanto già detto, il cambiamento lo si nota a partire dal trattamento agli eroi stessi: Tony Stark e Steve Rogers erano umani potenziati - potremmo dire semidei - mentre le poche presenze realmente divine (Thor in testa) si presentavano con caratteristiche e sentimenti comuni, in una furba commistione di elementi mitologici classici e cultura pop. Quale che fosse la natura degli attori in gioco, l’attenzione per il versante umano è stata la chiave del successo di pubblico; la possibilità di empatizzare con le vicende dei personaggi - mai troppo vicini o troppo distanti - ha garantito un richiamo costante per gli spettatori sensibili all’approccio, con tutti gli inciampi e i passi falsi del caso. Stan Lee per primo lo aveva capito e sintetizzato nel motto “supereroi con superproblemi”.
Eternals, invece, pare impostare un discorso diametralmente opposto: da un lato getta le basi per il racconto di una cosmografia nata in seno alla casa madre, con l’introduzione delle figure dei Celestiali; dall’altro abbandona il punto di vista dell’umanità per concentrarsi su quello delle divinità, gli Eterni appunto. Mentre prima la terra fungeva da teatro degli scontri, ora si ha la sensazione di uno sguardo che si amplia all’universo, di cui il pianeta azzurro è solo uno dei tanti. Ne consegue anche la necessità di espandere la portata dei personaggi, non più confinabili ai soli limiti atmosferici. Cruciale per la scelta è stata sicuramente l’introduzione del multiverso, croce e delizia di qualsiasi appassionato di fumetti e di cinema nel nostro caso, le cui potenzialità filmiche (ma soprattutto metafilmiche) sono state lambite da Spider Man: Far From Home.
Queste dunque le premesse, che mi pare siano ravvisabili alla base del progetto. Ovviamente però le buone intenzioni vanno poi tradotte in pratica e spiace constatare come, alla prova dei fatti, la situazione assume tutto un altro volto. Partiamo da ciò che ritengo il problema principale: Eternals ha un ritmo sfiancante, mal gestito per tutte le due ore e quaranta di durata, che si collega alla necessità di scrivere un film di origini, dove presentare personaggi di cui la maggior parte tornerà in capitoli futuri; se è vero che questa scelta è stata sempre adottata dalla Marvel in occasione dell’introduzione dei protagonisti di una saga, inevitabilmente in un film così lungo l’esigenza si percepisce come pesante. La decisione di occupare due terzi della storia con la ricerca degli Eterni sparsi per il mondo, nell’intenzione di riunire la squadra, è deleteria perché troppo tirata per le lunghe oltre che prevedibile nella conclusione; come se non bastasse il canovaccio di reclutamento è replicato uguale tutte le volte: si arriva in un luogo, viene presentato l’Eterno che è inizialmente indeciso sul rientrare nel gruppo o meno, gli altri Eterni discutono con lui per convincerlo e poi si passa al successivo. A mettersi di traverso ci sono pure i salti temporali, volti a spiegare le origini dei protagonisti, che a conti fatti servono solo a diluire una storia bisognosa di sintesi. La percezione è quella di un film che raggiunge il suo climax troppo tardi, quando ormai l’attenzione e la palpebra sono calate da un pezzo, oltretutto perché il background dei personaggi non attira l’interesse. Poi, quando arriva il colpo di scena decisivo, con annessa la canonica scazzottata finale, tutto si risolve nel giro di quaranta minuti: non si può pensare di costruire una fase di preparazione all’azione così faticosa per poi scioglierla frettolosamente.
Un conto è il ritmo lento e compassato di una narrazione che sa dove sta andando, un altro è il ritmo pachidermico di un racconto che sbanda troppe volte durante il percorso, accelerando quando non dovrebbe e rallentando fino alla stasi per concedersi pause di approfondimento nei momenti meno opportuni. Proprio in relazione a ciò va riscontrato quello che per me è un altro difetto, rappresentato dall’eccessiva quantità di spiegoni. Mentre le poche scene d’azione che puntellano la storia sono piuttosto ripetitive e dimenticabili – siccome mancanti di tensione – le sequenze di dialogo tra gli Eterni presentano scambi di battute espositivi al massimo grado, necessari per chiarire allo spettatore i rapporti di potenza tra divinità e la magia alla base della creazione dell’universo nella finzione narrativa. La stessa tecnica viene adottata anche quando vanno approfonditi i legami affettivi tra personaggi: minuti e minuti di campi/controcampi in cui gli Eterni si spiegano la loro missione, le sofferenze patite nei secoli e i sentimenti che provano, probabilmente perché gli attori sono quasi tutti incapaci di esprimersi attraverso la recitazione. Accanto a una Angelina Jolie sperduta come non mai in un ruolo abbastanza piatto, si piazzano ai vertici della mediocrità Richard Madden, Kit Harington e Salma Hayek, che potranno finalmente inserire nel curriculum un ruolo da supereroi.
La gran quantità di personaggi limita di molto il minutaggio e l’approfondimento psicologico dedicato a ciascuno, cui vengono attribuiti tratti caratteriali superficiali, connessi ai temi principali della pellicola. E veniamo dunque al punto focale, accennato in apertura: ho sentito gran parte degli appassionati (e non solo) gridare al miracolo perché in Eternals la Marvel sperimenta, abbracciando finalmente argomenti maturi, distanti dall’atmosfera scanzonata dei film precedenti; a mio giudizio, la realtà è ben diversa: libero arbitrio e determinismo, il valore dei ricordi, l’insensatezza della violenza umana, persino la questione ecologista sono tutti mescolati alla rinfusa in un calderone che cerca la profondità anche attraverso elementi inclusivi (il personaggio disabile, quello omosessuale, in generale le diverse etnie degli Eterni) con l’intento di incontrare vasti consensi. Se allora si vuole nuovamente vincere facile mettendo tutti d’accordo, dove è finita la sbandierata sperimentazione? Non basta il tema a nobilitare l’opera, perché tutto dipende dal modo in cui viene esposto; proprio laddove dovrebbe osare, Eternals sceglie invece di riproporre gli stessi dilemmi morali visti in altri mille film simili con risoluzioni altrettanto scontate, dimostrandosi parecchio superficiale. Pensiamo solo alla gestione del sofferto rapporto tra Ikaris e Sersi, protagonisti della prima (pudicissima) scena di sesso nell’MCU: tutta la millantata maturità va a farsi benedire davanti a una relazione amorosa trattata con la profondità della cotta adolescenziale.
Questa considerazione mi permette di ampliare il discorso a un ulteriore aspetto; tra le dichiarazioni rilasciate dalla Zhao se ne trova una molto interessante: per il debutto nel mondo cinecomic la regista dice di essersi ispirata al lavoro di Zack Snyder su Man of Steel siccome è stato capace di “approcciare il mito in una maniera reale e autentica”. In effetti, l’apparente cupezza di Eternals rimanda a quella altrettanto apparente di lavori come il recente Justice League, con cui condivide il maggior limite: l’essere un giocattolo per adulti sotto mentite spoglie. Se la DC ha scelto fin da subito la strada della serietà nella forma, credendo così di mascherare contenuti poverissimi, la Marvel ha sempre nascosto il meno possibile gli ammiccamenti a un pubblico tendenzialmente infantile/adolescenziale o appassionato dei fumetti trasposti. Questa è stata fino a oggi la sua fortuna che le ha permesso di sorpassare la rivale, battendola su tutti i fronti grazie a una studiata leggerezza nei casi migliori (il dittico Guardiani della Galassia). Eternals invece mantiene il piede in troppe staffe: vuole essere maturo ma affronta gli argomenti con faciloneria, costruisce sequenze drammatiche ma non rinuncia a infilarci siparietti comici imbarazzanti, vuole essere popolare ma al contempo ricerca una visione autoriale che giocoforza non potrà mai esprimersi liberamente. Non bastano panoramiche di tramonti e inquadrature di vasti spazi naturali (spesso in CGI) per identificare la regia di Chloé Zhao, il cui nome serve solo per nascondere sotto il tappeto i tratti da cinecomic classico, che ci sono tutti.
L’approccio “reale e autentico” al mito è solo uno specchietto per le allodole siccome il film non può (e non vuole) staccarsi da un tipo di impostazione collaudata e remunerativa a livello commerciale, perché alla fine della fiera ciò che conta per il futuro di opere come questa non sono certo le recensioni dei critici, quanto il verdetto del botteghino; l’unica stilla di intraprendenza la si trova in un elemento: laddove prima il concetto era divinizzare una ristretta cerchia di esseri umani, qui si punta a umanizzare un piccolo gruppo di divinità.
Ma di nuovo il meccanismo non ingrana: gli Eterni sono dei che scoprono di essere stati creati in laboratorio (notizia traumatica alla quale peraltro reagiscono in maniera quasi indifferente) e dopo millenni passati con gli uomini capiscono di aver sviluppato sentimenti ed emozioni in grado di farli affezionare al popolo protetto. Di umani nel film si parla continuamente, peccato che di rilevanti se ne vedano pochissimi. Come può lo spettatore percepire il legame così viscerale creatosi tra terrestri e divini, al punto da giustificare una ribellione contro il proprio creatore, se gli unici umani a non confondersi in una folla anonima sono l’insignificante personaggio di Kit Harington, il comedy relief indiano e il personaggio omosessuale, inserito in un intermezzo da pubblicità progresso sulla famiglia arcobaleno? Il resto dell’umanità viene rappresentato come anonimo sfondo oppure, peggio ancora, come violento e irredimibile (per esempio nella scena dei massacri spagnoli in Sud America e quella di Hiroshima). Non c’è pathos percepibile, non c’è una posta in gioco rilevante; persino la minaccia della distruzione della terra passerebbe in secondo piano, se i personaggi non ce lo ricordassero nei dialoghi ogni due per tre.
Oltretutto, il finale di Eternals non ha nemmeno la decenza di mettere un punto fermo alla storia: la conclusione è sostanzialmente un enorme cliffhanger che rimanda per forza a un secondo capitolo, con tanto di dicitura “Eternals will return…”. Di certo su questo ci avrei scommesso, ma dopo 156 minuti di film sarebbe stata buona cosa premiare lo sforzo degli spettatori con una chiusura almeno parziale; ciò rende inoltre difficile capire perché la Marvel sia andata a sponsorizzarlo come film fruibile a sé stante quando non è così. Arrivato in chiusura, riservo una menzione d’onore alle due scene post-credit, tra le più brutte mai viste: la seconda impreziosita dalla recitazione canina di Harington, battuta dalla prima soltanto per il modo ridicolo e anticlimatico di introdurre il personaggio di Eros, fantomatico fratello di Thanos.
In definitiva, Eternals è un’opera dimenticabile, faticosa da seguire, indigesta per la mole di contenuti mal gestiti stipati al suo interno; l’esperimento dell’MCU fa purtroppo la fine del suo antagonista principale, andando a sciogliersi nel sole. Chiudo con una nota positiva, per risollevare il morale di chi avrà avuto la pazienza di leggere fin qui: in mezzo alla baraonda generale si distingue Makkari, l’Eterna sordomuta, sia per la scelta di casting perfetta sia per le pochissime scene in cui è protagonista. Emblematico che in un film ultra-dialogato a farsi ricordare sia l’unico personaggio silenzioso.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta