Che fosse un film fuori tempo massimo era chiaro sin dal sul tardivo annuncio. Eppure, al di là di tutto, Black Widow conserva un’anima e un carisma tutti suoi, fra il ‘classico’ cinecomic Marvel e lo sfacciato cinema di spionaggio statunitense, con più di qualche strizzata d’occhio ai Bourne di Greengrass e ai Mission: Impossible (oltreché una menzione visiva a Bond).
Ma, soprattutto, mi è parso una ventata d’aria fresca: se da una parte la produzione si instaura – chiaramente – nel Marvel Cinematic Universe, dall’altra sembra non esserne dipendente, contribuendo sì al processo del gargantuesco e seriale worldbuilding ma limitando i legami a citazioni semplici e ininfluenti ai fini del proprio racconto, con la possibilità di intraprendere così un discorso familiare più terreno e personale (ma comunque collettivo).
Complessivamente, un action discreto, prosecutore dell’attualissima questione al femminile e capace di affermare le proprie volontà con un risultato comunque onesto, ben più di un, per citarne uno, Captain Marvel.
Alla fine della fiera, in ogni caso, restano soltanto chiacchiere: volente o nolente, sussiste il genio indiscusso di Kevin Feige & Co., padri del blockbuster postmoderno, nel bene e nel male (e indipendentemente dalla riuscita o meno del singolo film).
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