Regia di Cate Shortland vedi scheda film
A due anni di distanza dall’uscita nelle sale cinematografiche del film di Spider-man: Far From Home l’MCU é pronto a tornare sul grande schermo dopo, causa Covid, una lunga serie di rinvii e continui cambiamenti nelle tempistiche delle produzioni, e successivamente al successo delle serie televisive dei Marvel Studios su Disney Plus (Wandavision, The Falcon & The Winter Soldier e la recente Loki), con Black Widow per la regia di Cate Shortland, dal 7 Luglio disponibile al cinema e dal 9 sulla piattaforma Disney Plus con accesso VIP a pagamento.
Oltre ad avere l’onore (e l’onere) di dare finalmente inizio alla nuova Fase, quella successiva a Thanos e alle Gemme dell’Infinito e che sembra dover dire addio a molti dei suoi personaggi principali come anche dei suoi interpreti (tra cui la stessa Natasha Romanof/Scarlett Johansson) il film della Shortland ha anche il compito, posticipato fin dai tempi del primo Avengers, di illuminare il passato (e, chissà, forse anche il futuro) della Vedova Nera.
Un Ultimo tango a Budapest, dieci anni e otto film dopo aver vestito per la prima volta in Iron Man 2 i panni dell’ex spia sovietica, dove la 35enne attrice saluta (per sempre?) il suo personaggio con uno stand alone movie a lei esclusivamente dedicato, da tempo in programma e realizzato solo in questa fase post Endgame.
Come anticipato si tratta di un prequel ambientato tra Civil War e Infinity War e approfondisce il passato di Nathasha e il modo in cui, fin da bambina, é stata allevata e addestrata per trasformarsi in una delle spie più letali del mondo.
Una storia delle origine rivisitata in salsa MCU che centrifuga, come in un frullatore, le complessità e la profondità della Vedova per trasformarla però in una versione più semplice (politicamente corretta?) e lineare, ovvero più adatta per il grande schermo.
E in quanto (innanzitutto) un film Marvel Studios, Black Widow ha una gran bella “dose” fatta soprattutto di azione e inseguimenti in cui ci si spara e si combatte, si salta e si vola mentre attorno a te tutto esplode e/o si disintegra, tra gesti atletici sovrumani od estremi ed effetti speciali di ultimissima generazione.
Ma dietro all’appeal di cinecomic spettacolare e divertente anche questa pellicola Marvel ha un suo cuore intimo e profondo proseguendo il discorso, da sempre portato avanti dalle loro pellicole, di quanto sia molto più importante l’aspetto umano che si nasconde dietro alle maschere che non necessariamente la maschera stessa.
Perché la BW di Cate Shortland è un film che parla di quanto sia importante elaborare le nostre paure più nascoste, quelle che irrazionalmente ignoriamo o sottovalutiamo ma capaci, anche molto lentamente, di condizionarci (o addirittura di plagiarci quando sfruttate da altri contro noi stressi) portandoci irrimediabilmente ad isolarci ed ad innalzare un muro (emotivo) verso gli altri finché, alla fine, questo, cresciuto a dismisura, non crollerà su noi stessi, seppellendoci sotto le nostre stesse paure.
Attraverso un incipit che può ricordare la (ottima) serie Tv The Americans ma anche un classicissimo leitmotive delle pellicole dell’epoca della guerra fredda, lo spettatore viene subito immerso in un clima da spy story, alternando la sua anima più ludica e oltremodo spettacolare a una narrazione i cui cardini sono ormai diventati l’inclusività, il coraggio di reagire alle sopraffazioni, lo spirito di sacrificio e, soprattutto in questa pellicola, il senso della famiglia (o di appartenenza) per quanto allargata o disfunzionale questa possa essere.
E in BW il tema delle donne rapite e sfruttate da un mondo patriarcale é trattato in modo estremamente serio, nel suo piccolo di pellicola comunque di evasione, anche nel lanciare un appello (sentitissimo) contra la terribile questione della tratta delle donne, specie nei paesi meno sviluppati o culturalmente più retrogradi. e tematica ancora oggi colpevolmente invisibile o sottovalutata da molti dei paese che si autodefiniscono (?!) più evoluti, per un messaggio di emancipazione che, per quanto anche crudo, non potrebbe essere più chiaro di così, senza bisogno poi di scene troppo plateali come in Endgame.
In questo senso il villain adottato, Dreikov; non potrebbe essere il più patriarcale possibile, esageratamente arbitrario e quindi fortuito in quanto non necessario sia narrativamente che esteticamente, anche controproducente (in un certo senso) in quanto non un vero cattivo, malvagio e spietato per una qualche motivazione logica ma incarnazione arcaica dell’uomo nero di archetipi femministi e/o del #Metoo.
Lo stesso dicasi del personaggio di Taskmaster, strettamente legato a Dreikov, con una scelta piuttosto discutibile che, oltre a discostarsi dalla sua contra parte fumettistica (cosa in sé non necessariamente un difetto), non riesce a convincere a pieno e che sminuisce certe prerogative del personaggio per costruire un effetto sorpresa (in realtà un po strozzata) che poteva essere sfruttato nella pellicola in modo molto più interessante (anche e soprattutto in questa nuova versione).
Oltre a una sempre ottima Scarlet Johnasson la pellicola può contare anche sull’astro nascente britannica Florence Pugh nei panni di Yelene Belova, e presumibilmente nuova Vedova Nera del MCU, che riesce a tenerle testa in modo eccelente anche nei momenti più drammatici e, direttamente dal successo di Stranger Things, l’imponente David Harbour come l’ingenuo e borioso Guardiano Rosso/Alexei Shostakov in quella che è la componente sdrammatizzante del film e l’esperta Rachel Weisz nel ruolo della scienziata (ed ex-Vedova Nera) Melina Vostokoff.
Altri interpreti Ray Winstone, O-T Fagbenle, William Hurt, Yolanda Lynes e un’irriconoscibile Olga Kurylenko in un ruolo a sorpresa.
Non stiamo parlando del miglior film dell’MCU ma rimane comunque un risultato molto buono e che non solo riporta degnamente in scena l’MCU al cinema ma lo fa celebrandone i suoi successi, ricordandone il passato ma progettandone anche il futuro.
VOTO: 7
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