Regia di Joko Anwar vedi scheda film
Far East Film Festival 22.
Gundala, ovvero, l'ambiziosissimo "primo capitolo dell'universo cinecomic indonesiano" (!!), scritto e diretto dal Joko Anwar già passato dalle parti di Udine nel 2018 (Satan's Slaves) e nell'edizione 2020 presente anche con un'altra opera (l'horror Impetigore), è una classica origin story dalla durata importante (due ore) che sui titoli di testa evoca i coloratissimi e iconici titoli Marvel mentre taglio, registro e risvolti narrativi sono più contigui alla seriosità DC, a cominciare da Batman Begins.
L'inedita ambientazione, per questo genere, esaurisce la sua carica particolare ed esotica allorché appunto si limita a scimmiottare modelli noti (sino alla nausea), disinnescando parimenti riconosciuti cavalli di battaglia quali i combattimenti marziali per cui il cinema indonesiano oggi non teme praticamente rivali (si salvano la scena di massa iniziale di protesta alla fabbrica e il primo scontro del protagonista).
Il canovaccio è un comodo riciclo di ricami e canoni risaputi: l'infanzia difficile, la paura insita da esorcizzare e che in seguito diventerà la propria forza (per il nostro eroe sono i fulmini), la scoperta dei poteri, la speranza che cresce nel popolo vessato, una città simil-Gotham abitata da ingiustizie sociali, criminalità e politici corrotti, il mega-piano criminale da sventare (oggettivamente ridicolo: un "siero morale" da diffondere alla popolazione con il riso che, nelle donne incinta, causa figli che non sapranno distinguere il bene dal male), gli alleati, l'interesse amororoso. Ecc..
Non manca nulla. Spiegoni, frasi a effetto, dialoghi banali e buchi di trama compresi.
Non molto brillante la resa estetica, giacché la fotografia spennella uno strato di strane tonalità beige-seppia che appiattiscono personaggi, location e dimensione temporale rendendoli (più) anonimi e gli effetti speciali si rivelano poveri ancor prima di idee che di mezzi.
Completano una costruzione poco felice la colonna sonora prevedibilmente solenne, l'assenza di humour, e la figura incompiuta e zoppicante del cattivo, l'ennesimo tizio con disabilità (è sfigurato e storpio) che gli conferiscono entità sinistra, acclamato dal popolo quale "papà degli orfani" (che in realtà addestra come assassini): dimensioni gonfiate che alla resa dei conti si sgonfiano in maniera veloce e banale, spogliando in tal modo il film di epica e gusto per il trionfo del giusto.
Svuotate pertanto in parte le potenzialità di Gundala, rintracciabili senz’altro nel ritratto del protagonista, Sancaka, bambino sfortunato perso nei meandri di una dannata giungla urbana che non ammette umanità (riusciti i flashback che descrivono condizioni ai margini e duri eventi traumatici) e che impara presto a "non farsi gli affari suoi".
E peccato, inoltre, per la scelta degli attori: se Sancaka bambino è convincente nella sua natura ferita e selvatica, in quello adulto - mediocre per presenza scenica e nullo per espressività - i dubbi e i tormenti del supereroe suo malgrado sembrano dipinti in volto con l'inchiostro simpatico.
Nel complesso però, e al netto degli evidenti limiti e difetti, l'operazione di Anwar mantiene una sua dignità (ed è già meglio di molti estenuanti omologhi americani così tanto amati e venduti).
Presente scena post-titoli di coda con nuova minaccia per il consapevole supereroe nonché minaccia di sequel.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta