Regia di Ettore Scola vedi scheda film
La padrona di casa batte le mani per chiamare gli invitati a consumare una cena all’aperto: si mangia, si chiacchiera, si discute, si litiga. Poi ognuno torna alle proprie vite e alle proprie miserie: Trintignant, sceneggiatore in crisi d’ispirazione, non riesce più a scrivere; Mastroianni, giornalista che non crede più in niente, cerca invano di recuperare il rapporto con la ex; Reggiani, funzionario televisivo anoressico, si vede stravolgere i suoi progetti di qualità; Tognazzi, produttore cinematografico incolto, accetta di finanziare un film d’avanguardia solo per compiacere la moglie che lo disprezza; Gassman, deputato comunista in rotta con il partito, intraprende una relazione con una donna sposata. Scola apre gli anni ’80 con un film di spudorata intelligenza, inesorabile, senza sconti per nessuno, appena un filino autocompiaciuto: una storia di vecchi che giocano a fare i cinici per nascondere i loro fallimenti esistenziali ed esorcizzare la paura della morte, alle prese con donne giovani ed emancipate (non senza qualche compromesso: vedi la scena in cui Carla Gravina esce scodinzolando dall’ufficio di un dirigente RAI) e con un mondo che sembra poter fare tranquillamente a meno di loro; alla fine tutti si consolano cantando Que reste-t-il de nos amours, per scaldarsi almeno al fuoco dei ricordi. Satta Flores fa il sé stesso di C’eravamo tanto amati, Galeazzo Benti (!) il sé stesso degli anni ’50 (visibile in un minuscolo spezzone). Piccole partecipazioni per una miriade di interpreti, fra i quali Lella Fabrizi, Mario Brega e Ugo Gregoretti. Vedere interagire nella stessa scena i colossi della commedia italiana del tempo che fu è una vera goduria.
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