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Son-Mother

Regia di Mahnaz Mohammadi vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Son-Mother

di alan smithee
8 stelle

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2019 - ALICE NELLA CITTA' - CONCORSO - OPERA SECONDA

La tragedia è una; le prospettive entro cui si dispiega due: quella del "figlio", vista da parte della madre, e quella della "madre", vista attraverso lo sguardo di suo figlio.

Nella società inflessibilmente patriarcale iraniana di oggi, Leila è una giovane vedova che lavora come operaia presso una fatiscente fabbrica che le impone turni massacranti in cambio della prospettiva di riuscire a mantenere il proprio posto sempre più precario nell'ambito di una tenace riorganizzazione aziendale.

La donna deve anche occuparsi del figlio bambino Amir, e della figlia ancora poco più che in fasce.

In suo aiuto potrebbe giovarle la richiesta in sposa da parte di un brav'uomo, vedovo pure lui, di nome Kazem, che ogni mattina accompagna la donna e gli altri operai fino alla fabbrica.

Ma per poterlo sposare, deve rinunciare al figlio più grande, e sistemarlo come può in qualche collegio, per far sì che il matrimonio tra i due vedovi non lasci trapelare malelingue.

Pertanto, col cuore a pezzi, la donna decide di "collocare" il figlio presso un istituto per sordomuti, fingendo che Amir sia affetto da tale disfunzione, ma promettendo al figlio di riprenderselo dopo poco più di due settimane.

Un'attesa vana che ritroviamo sulle spalle del saggio e disilluso Amir, bambino coraggioso e tenace, in grado di affrontare una situazione a prima vista senza via d'uscita.

E' davvero splendido ed emozionante il secondo film della regista iraniana Mahnaz Mohammadi, che seziona la sua storia sotto due prospettive contrapposte ma non per questo contrarie, rese antitetiche dall'ottusità generalizzata e criminale di una visione di pensiero contraria ad ogni raziocinio ed umana comprensione.

Il cinema iraniano può permettersi ancora, più di altri, di affrontare vicende basiche e sentimentali di questa forza e potenza, restituendoci l'emozione che solo più di un sessantennio orsono il cinema italiano poteva permettersi di eguagliare con la corrente neorealista che ha portato alla luce i capisaldi cinematografici della ricostruzione, materiale e morale, di una nazione.

Un cinema fatto di primi piani meravigliosi, di intensità di sguardi, di tragedie annunciate che solo entro quei contesti mediorientali ove la libertà d'azione e di pensiero è seriamente compromessa, può ancora risultare drammaticamente plausibile, e così schiettamente impellente nella sua tragicità di fondo. 

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