Regia di Mahnaz Mohammadi vedi scheda film
Con un stile netto e rigoroso, evitando i patetismi a cui la trama offrirebbe ampi spunti, fotografa impietosamente un ritratto crudo della società iraniana, spietata nel perseguire il rispetto di regole tradizionali a discapito dei diritti e della dignità dell’individuo. Un film che colpisce al cuore e si deposita nell’anima, lasciando il magone.
14° FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2019
Non è facile la vita di una vedova nell’Iran del XXI secolo. Sempre inseguita da maldicenze e pettegolezzi (come se esser vedove fosse una colpa), Leila rischia di perdere il lavoro che da cui trae sostentamento per sé e per i due figli. Anche il progetto di risistemarsi sposando un maturo pretendente incontra un ostacolo insormontabile: l’uomo ha una figlia adolescente, quindi non potrà accogliere in casa il figlio di lei, il dodicenne Amir, per non alimentare il giudizio della società. La condizione che pertanto l’uomo pone al matrimonio è che Amir venga allontanato ed inviato a vivere altrove, almeno finché sua figlia non si sposerà. Leila dapprima resiste a questa richiesta, incapace di separarsi dal figlio ancora di fatto bambino ed in assenza di altri parenti che possano accoglierlo. Ma poi le difficoltà della vita piegheranno la dignitosa vedova.
La prima parte, incentrata su Leila, è però intitolata “Son”, mentre la seconda, in cui seguiamo le vicissitudini di un abbandonato Amir, è intitolata “Mother”, a sottolineare la paura della perdita dell’altro significativo nell’insostituibile rapporto madre-figlio. Procedendo con il passo flemmatico ma implacabile che abbiamo imparato a conoscere nei film iraniani, il film segue con semplicità e rigore una vicenda umana che si fa man mano sempre più straziante, nonché incomprensibile agli occhi di un occidentale, che richiama alla mente i racconti ottocenteschi di Dickens, quando il ragazzino viene fraudolentemente inserito in una struttura per minori sordomuti.
Con un stile netto e rigoroso, evitando scrupolosamente i patetismi a cui la trama offrirebbe ampi spunti, fotografa impietosamente un ritratto crudo della società iraniana, spietata nel perseguire il rispetto di regole religiose e tradizionali a discapito dei diritti e della dignità dell’individuo. La regista trasmette la disumanità della situazione attraverso l’incisività di primi piani dei suoi sventurati protagonisti, i loro significativi silenzi, la dignità dolente di Leila, la tristezza devastante negli occhi devastanti di Amir, la disarmante capacità dei bambini di adattarsi a sopravvivere a condizioni in cui non dovrebbero mai venirsi a trovare.
Un film che colpisce al cuore e si deposita nell’anima, lasciando il magone.
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