Regia di George A. Romero vedi scheda film
Il film ha più di cinquant’anni (che nel cinema sono tanti!), ma dimostra ancora tutta l’energia delle opere senza tempo. E per la sua cupa violenza resta sconsigliato a chi è emotivamente suggestionabile.
È la terrificante opera che ha reinventato il genere horror (non più notturno e gotico) stravolgendo radicalmente il concetto di zombie: infatti, nelle precedenti opere letterarie classificate nella categoria dell’orrido (come Frankenstein di Mary Shelley del 1818 o L’isola del dottor Moreau di HG Wells del 1897) o in quelle cinematografiche (White Zombie di VictorHalperin del 1932 e The Plague of the Zombies di John Gilling del 1966), gli zombie erano creature dell’uomo, risultato intenzionale di esperimenti di magia (vudù) o di laboratorio scientifico, per cui si cercava di dare vita (si fa per dire) a un uomo-schiavo senza anima; in questo filone, per restare nei precedenti cinematografici, troviamo, per esempio, White Zombie (L’isola degli zombie) col mitico Bela Lugosi, di Victor Halperin, del 1932 e Ho camminato con uno zombie di Jacques Tourneur, del 1943.
Nella pellicola di Romero, invece, gli zombie non sono opera diretta e intenzionale dell’uomo e agiscono indipendenti dal suo controllo, anzi contro di lui, considerandolo solo un alimento indispensabile alla sopravvivenza; e sono, inoltre, dislocati dal loro territorio tradizionale (le Antille) per essere messi in azione in Pennsylvania, nel mondo “civilizzato”.
Si può dire in definitiva che Romero - ispirandosi al romanzo fantastico Io sono leggenda (I am legend) di Richard Matheson, in cui un solo uomo è rimasto sulla terra dominata dai vampiri - abbia “reinventato” gli zombie sia nella loro genesi che nella particolare caratterizzazione: degrado fisico, aspetto repellente, andatura barcollante, ferocia cannibalesca e ottusa, contagiosità fulminea.
Da qui in poi, saranno proprio gli zombie di Romero (che lui chiama però ghoul, per distinguerli da quelli caraibici) che invaderanno l’immaginario collettivo horror, dilagando anche fuori dagli schermi. Il film infatti, oltre che dare origine ad un numero spropositato di altre pellicole sul tema (cinque dello stesso Romero) e a vari remake e a parodie (L’alba dei morti dementi, divertentissima), ha partorito racconti e romanzi; ha suscitato la fantasia di fumettisti (fra i quali Tiziano Sclavi col suo Dylan Dog del 1986 e Kirkman in The walking dead del 2003); ha originato Serie tv (come Oltretomba eThe walking dead) e videogiochi (come Resident Hill, che ha a sua volta ha dato il via ad altri film e serie); ha attratto citazioni (in South park e negli immancabili Simpson); e ha perfino ispirato omaggi di gruppi musicali.
Altra reinvenzione attribuibile a Romero, sempre in questo film, è quella del genere splatter che mostra sangue, squartamenti e mutilazioni, materia cerebrale, budella sparse, ossa spolpate, brandelli di carne lacerati e scene di cannibalismo; un genere, chiamato anche gore, poi largamente praticato da alcuni registi italiani autori di B-movies (Fulci, Argento, Lenzi e D’Amato); e in America da Raimi (La casa, del 1981), Carpenter (Distretto 13, Le brigate della morte, del 1976), Cronenberg (Il demone sotto la pelle, 1975), e da molti altri fra cui spicca il geniale Tarantino.
Trama sintetica
Per qualche oscura ragione, i morti non ancora sepolti tornano in vita e, affamati di carne umana, vagano in cerca di esseri viventi. Sette umani, fuggendo dagli zombie, si rifugiano in una vecchia casa colonica abbandonata e si difendono dall’assedio feroce di un’ondata di quelle mostruose creature.
Trama dettagliata (attenzione: SPOILER, da leggere se si è visto il film!)
L’avvio è straordinario, sapientemente ponderato ma nello stesso tempo diretto e terribile (il passaggio graduale dalla normalità al panico è folgorante).
Johnny e Barbra, fratello e sorella, sono in visita alla tomba del padre in un piccolo cimitero nelle campagne della Pennsylvania (“È un delitto sprecare una domenica per una gita come questa”). Uno strano individuo che barcolla come un ubriaco si avvicina a loro e improvvisamente li aggredisce. Johnny viene ucciso. Barbra fugge terrorizzata verso una casa isolata. Entra, si guarda in giro: la casa è disabitata, il telefono è staccato, sul pianerottolo della scala c’è un cadavere orrendamente sfigurato.
Un uomo, un afroamericano, irrompe nella casa, spaventando la già terrorizzata donna. È Ben, anche lui tallonato da altri strani esseri barcollanti, ululanti, orribili nell’aspetto e minacciosi che, inseguendolo, si stanno affollando intorno alla casa. Ben, dopo aver barricato porta e finestre, rassicura la ragazza paralizzata dalla paura.
Le sorprese però non sono finite: improvvisamente, dalla porta della cantina, escono altri due uomini, anche loro rintanati nella casa abbandonata per scampare all’attacco delle strane creature. Non sono soli: il primo, Harry, è con la moglie Helen e la figlia Karen, una bambina ferita da uno degli strani assedianti; il secondo, Tom, è con la fidanzata Judy.
Bisogna decidere il da farsi: scoppiano i primi contrasti fra Ben e Harry, il nero e il bianco, che hanno idee diverse su come respingere i mostri che ormai si affollano numerosi intorno al perimetro della casa.
Dalla radio un annunciatore (Comunicato urgente del Comando Nazionale della Difesa Civile di Washington) parla delle strane creature che vagano per le strade e le campagne e riferisce che si tratta di morti che tornano in vita (a causa di imprecisate radiazioni provenienti da Venere), che vagano per il paese a caccia di esseri viventi, che assalgono e sbranano le persone che incontrano perché sono affamati di carne umana, che possono essere abbattuti solo fracassando loro il cranio. Lo speaker raccomanda a tutti di concentrarsi nei rifugi e nei centri di assistenza predisposti dal governo.
Gli assediati decidono allora di tentare una sortita facendosi largo con bottiglie incendiarie per raggiungere il furgone di Ben parcheggiato poco lontano nei pressi di una pompa di benzina. L’azione fallisce: nella concitazione i volontari provocano l’incendio del camioncino, Tom e Judy restano uccisi (e vengono subito divorati dagli zombi), Ben riesce a malapena a rientrare e ha un primo scontro con Henry che da una finestra ha assistito al fallimento della sortita senza muovere un dito e poi, vista la mala partita, stava per barricarsi in cantina abbandonando Ben.
La bambina ferita, sistemata in cantina, sta peggiorando; la madre riferisce che la piccola è stata morsa da uno zombi. Nessuno sa come aiutarla.
In televisione viene annunciato anche l’invio di squadre di soccorso che stanno perlustrando la zona e danno la caccia ai morti viventi.
Non si può fare altro che attendere.
La claustrofobica condizione e il terribile accerchiamento mettono a dura prova l’equilibrio degli assediati. Ad un certo punto pare proprio che lo scontro più importante sia quello interno fra gli assediati, non quello con l’orda degli assalitori (straordinariamente paradossale l’idea di mettere dei difensori "intelligenti" ma disgregati contro dei morti spersonalizzati ma ottusamente coesi). Mentre fuori infuria l’orrore, nella casa ci si scontra per decidere come e dove approntare le difese. Harry sostiene che è meglio rintanarsi nell’interrato da cui è appena uscito. Ben sostiene che lo scantinato può diventare una trappola e afferma che è meglio respingere l’intrusione dal piano terra. Harry non sopporta che Ben, il “negro”, abbia il comando del gruppo e cerca di strappargli il fucile dalle mani, ma nella zuffa si becca una fucilata e si trascina in cantina dove trova la figlia, che nel frattempo è morta, trasformata in zombi. Poco dopo, quando anche la madre scende le scale della cantina, si trova davanti la figlia che sta divorando il padre. Impietrita dall’orrore non reagisce quando la bambina-zombi la aggredisce a colpi di cazzuola e la uccide.
I drammi familiari non sono finiti: Barbra, tentando di respingere i morti che camminano, riconosce fra questi il fratello, desiste dal difendersi, viene catturata e risucchiata fuori in pasto ai mostri.
Gli zombi irrompono in casa, affamati, furiosi, inarrestabili. Ben fugge e si barrica in cantina. Lì, per non rischiare, spara in testa ai compagni morti e aspetta. Sopra di lui i morti viventi strepitano infuriati, ottusamente ossessionati dalla fame.
Sorge l’alba. Ben sente rumori di elicotteri, spari, abbaiare dei cani. Sono finalmente arrivati i soccorsi.
Gli zombi si disperdono e vengono fatti secchi, uno a uno, dalla squadra dei cacciatori guidati da uno sceriffo. Ben esce dalla cantina, si affaccia con circospezione a una finestra e viene colpito in testa dalla pallottola di uno dei “salvatori” della squadra di soccorso.
Il suo corpo sarà accatastato sul mucchio di cadaveri che saranno inceneriti in un enorme falò.
Romero
George Romero, il regista ventottenne, in questo film ha fatto tutto: ha ideato il soggetto e ha scritto la sceneggiatura (affiancato da John A. Russo e ispirato dal romanzo Io sono leggenda, di Richard Matheson del 1954, una black comedy distopica in cui un gruppo di extraterrestri invade il pianeta; ma forse l’ispirazione più profonda, anche se meno diretta, è da ricercare nelle atmosfere di Hoffmann).
Lui ha scelto la location (certamente non costosa); lui ha effettuato le riprese e ha curato il montaggio; sempre lui ha messo insieme la colonna sonora, una compilation di brani musicali composti per altri film. Ha perfino fatto il produttore, cercando presso amici e conoscenti la somma necessaria per fare il film (il primo crowdfunding nel cinema!): una somma modesta e insufficiente, alla fine (114.000 dollari) che lo costrinse a girare con una pellicola 35 mm, in bianco e nero, meno costosa della 16 mm a colori che avrebbe desiderato. Gli stessi finanziatori, sempre per ragioni di risparmio, si offrirono chi per recitare, chi per trovare gli abiti (usati) degli zombi, chi per truccare le comparse. Il cast fu raffazzonato reclutando attori sconosciuti o a inizio carriera. Ben, il protagonista, è afroamericano non per scelta ideologica, ma per questioni di budget. Le comparse furono reclutate fra gli abitanti della zona.
Alla fine però il film, costato poco più di 100.000 dollari, incassò solo nei primi anni di distribuzione ben 450.000 dollari, 400 volte l’investimento iniziale; e poi raggiunse l’incasso stratosferico di una ventina di milioni.
Ma io sono portato a pensare che, proprio grazie a questa povertà di mezzi (low-budget direbbero gli anglofoni), nascono tre elementi non voluti che fanno del film un autentico capolavoro:
Metafore
Le interpretazioni date al film dai critici sono innumerevoli e disparate: gli zombi raffigurerebbero, a seconda dei diversi punti di vista:
Nessuno può sapere quale (o quali) di queste interpretazioni ipotetiche fosse nelle intenzioni di Romero: forse nessuna, almeno inizialmente; forse alcune, vagamente affiorate in fase di realizzazione (e riprese poi con maggior evidenza e consapevolezza nei successivi film).
Ma non si è lontani dalla verità se si pensa che il valore clamoroso del film è racchiuso in questa moltitudine di significati, nella pluralità delle possibili interpretazioni, nella enigmatica flessibilità dei messaggi. (Spesso i messaggi meno comprensibili sono densi di senso, rivelatori di verità, portatori di emozioni; proprio come i vaticini delle Sibilla).
Il film di Romero è la sintesi oscura di tutte le paure, intime o cosmiche, consapevoli o inconsapevoli; l’affresco di tutte le angosce indecifrabili, sulle quali emerge sottile ma chiara la terribile convinzione che siano gli uomini a divorare la propria specie.
Sullo sfondo c’è - evidente e incontrovertibile - il pessimismo antropologico di chi vede con lucidità l’inarrestabile decadenza della specie.
Ma la potenza del film sta tutta nell’indecifrabile violenza oscura dei mostri e - soprattutto - nell’angoscia che essi suscitano, che però non è data dalla paura di esserne divorati ma dal più orrido terrore di diventare come loro.
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