Regia di Ciro Ippolito vedi scheda film
Rivisto oggi, questo film, diventato di cult, non è che sia invecchiato bene. Già era inguardabile allora, oggi è terribilmente datato: sia per i riferimenti alle lire, che per i riferimenti alle cose di allora, che per una certa impostazione di base. Il film nasce per dare fastidio, è continuamente e solo politically scorrect. Narra le vicende della tribù indiana degli Arrapaho, e dell’omonimo indiano, figlio del capo Mazza Nera. Il ragazzo è innamorato di Scella Pezzata (una Tinì Cansino allora al top dello splendore), ma è a suo volta concupito da Luna Caprese, della tibù dei Froceyenne. Già da qua si capisce che il film non risparmia nessuno: neri, omosessuali, bambini, vecchi…ce n’è per tutti, sempre in un tripudio di volgarità e situazioni scabrose.
Film indifendibile, che però ha qua e là momenti di puro genio (“là, vedete al pascolo la mandria dei cavalli della tribù, mandria che ha mandato in rosso i costi della produzione già al secondo giorno”), situazioni che strappano risate, che rispetto ai Natali in qualche parte, il film pare pure bello. C’è di tutto, scene riuscite “una chiavica” che non vengono però tagliate, il narratore che a un certo punto ride per le sue stesse battute (l’effetto è esilarante)…il peggio e il meglio degli Squallor, gruppo cult di un tempo, composto da piccoli geni (autori di canzoni serie, passate alla storia della musica italiana) che si prendevano una pausa e si scatenavano senza freni.
Fu definito il più brutto film italiano di sempre, io direi un 4 di stima, merita di meno, ma apprezzo il messaggio di totale rottura con…con tutto, direi.
Geniale...o no?
qua sono tutti tra il volgare e il genio
Che gnocca!
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