Regia di Neasa Hardiman vedi scheda film
Don't Look Down!
Coordinate.
- “Sei a tre giorni dalla riva con quella scialuppa.”
- “Puoi chiamarla quarantena.”
Il crudele finale [le ventordici mani che hanno scritto “Alien 3” (1992), la sacrificale chiusa di “UnderWater” (2020), riaperta senza ritegno sul documentaristico rullo di coda verso un sequel che non vedrà, mai (magari la Asylum ad un’asta di svendita dei diritti...), per via dell’affondamento degli incassi, la luce della superficie] dolorosamente irricevibile [per la gratuità, non per cascami doppiogiochistici che alludono ad una possibile trascendenza anim(al)istica, con reminiscenze "obbligate" - di forma, non di contenuto - à la “the Abyss” (1989), un capostipite del "genere"] è la parte… migliore di questo (per pochissimo pre-CoViD19) “Sea Fever”, scritto e diretto (e suo “ritorno sull’insulare set natìo”) da Neasa Hardiman [“Happy Valley”, “Z: the Beginning of Everything”, “InHumans”, “Jessica Jones”, “Hit & Run”, “the Power”, ma soprattutto, a leggere (“A language enthusiast hits mid life crisis and leaves his wife and child to become an anti-globalisation warrior arsonist…”) la sinossi, “An Gaeilgeoir Nocht”], un concreto b-movie horror-fantascientifico (poco sub-)marino (e molto sulla linea di galleggiamento) irlandese, che può essere inserito in un filone particolare - per le tematiche, non per la tecnica narrativa - del quale fa parte, ad esempio, il “the Bay” (2012) di Barry Levinson [e, però spostandosi un po' verso il cielo, a "the Block Island Sound" (2020) dei fratelli McManus], mentre, sempre contenutisticamente, lo si può collegare, come prequel – per gli effetti futuri prossimi, non per le cause (la zona interdetta alla pesca/navigazione data la presenza di cetacei) passate – a “the Last Boat-Builder in BallyVoloon” (2017), il bel racconto da diporto calamaresco di Finbarr O’Reilly antologizzato nell’ultima “Year's Best Science Fiction” curata da Garner Dozois prima della scomparsa. Sulla terraferma, e rimanendo in tema mollusco-cephalopode (allorquando e là dove per il film in questione invece il phylum è quello dei radiati/raggiati cnidari), dal canto suo, placido e satollo di gradazione alcolica oltre i limiti della decenda (ma salvifica), sta: “Grabbers” (2012).
Sufficienza “piena” raggiunta grazie ad Hermione Corfield (“Bees Make Honey”, “SlaughterHouse Rulez”), la “protagonista” (il PdV principale è il suo, fatto salvo un inaspettato passaggio di testimone) di questo film corale {valido il resto del cast artistico [Connie Nielsen, Dougray Scott, Olwen Fouéré (tantissimo teatro, e poi “the Survivalist”, “Mandy” e il prossimo “the NorthMan” di Robert Eggers), Ardalan Esmaili, Jack Hickey, Elie Bouakaze e, nel predestinante prologo, Dag Malmberg] e tecnico: fotografia di Ruairí O'Brien, montaggio di Barry Moen e Julian Ulrichs, musiche di Christoffer Franzén (sui titoli di coda scorre “Shallows” dei Daughter), scenografie di Ray Ball, effetti speciali di Alex Hansson e riprese oceanografiche di Ken O’Sullivan}, e al “pessimo” finale.
A prescindere dal genere cinematografico, “Sea Fever” rimane molto più esplicativo della realtà, restituendone più efficacemente lo status quo in cui lo zeitgeist galleggia, caratterizzato dalla mediamente perenne incapacità - costantemente allo stato dell’arte dell’inadeguatezza - di affrontare una “emergenza”, rispetto al recente “Don’t Look Up”.
Film inserito - di sponda - nella playlist "Alieni degli Abissi".
(**¾) * * * (***¼)
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