Regia di Darius Marder vedi scheda film
Ruben è il batterista del duo metal “Blackgammon” insieme alla cantante e sua ragazza, Lou. Un giorno, prima di un concerto, si accorge di aver cominciato inaspettatamente a perdere l'udito. La diagnosi è molto più grave di quello che Ruben poteva anche solo immaginare: le sue capacità uditive gli permettono di distinguere solo il 30 per cento delle parole che sente e il suo udito si sta deteriorando rapidamente. Questa nuova, inaccettabile, condizione muterà inevitabilmente la sua vita e il suo rapporto con Lou.
Poco attratta dalla trama della pellicola, nella visione dei film candidati all’oscar nel 2021, ho lasciato per ultima la visione della pellicola in questione, vedendola più come un “obbligo” per completare la sequenza dei candidati (guardo sempre i almeno i film candidati all’Oscar nella categoria Miglior Film) che come una scelta di visione indipendente e invece… mi sono dovuta ricredere.
Tralasciando le (fortunatamente) poche sequenze in cui il protagonista e la sua compagna si dilettano nel fare rumorosa musica (perdonatemi ma non amo affatto il metal) la pellicola gioca molto, in modo molto concreto e intelligente, con il suono. A pensarci ha senso, anzi direi che è proprio geniale! Considerando che il problema all’udito si manifesta nelle prime sequenze del film, la cui trama si basa proprio sull’accettazione di un cambiamento così drastico e repentino, quindi diventa chiaro fin da subito che quel Sound of Metal non è riferito, come erroneamente pensavo, alla musica metal, ma al suono metallico che torturerà Ruben successivamente all’operazione a cui si sottopone pur di non restare nel silenzio assordante.
Darius Marder al suo esordio alla regia mette in scena una pellicola estremamente naturale. Con semplicità racconta un evento drammatico trasformante, servendosi dell’ottima interpretazione di Riz Ahmed, candidato anche all’Oscar per questo ruolo, riesce a trasmettere il senso di smarrimento del protagonista incapace di accettare questa sua nuova condizione e che tenta in ogni modo di contrastare l’epilogo inevitabile.
Un film delicato, eccessivamente lento in certe scene e a volte ripetitivo ma che ci conduce ad un finale intimo e riflessivo, inaspettato.
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