Regia di Darius Marder vedi scheda film
Film tanto bello quanto triste e deprimente, soprattutto per chi ha sperimentato questo problema, anche se in forma non grave. Candidato a sei Oscar, ne ha vinti due, anche se non i più prestigiosi, e altri premi sparsi, ottenendo riconoscimenti in tutto il mondo. La pellicola è ineccepibile sotto tutti i punti di vista, non pecca ahimè di verosimiglianza, le interpretazioni sono tutte di alto livello, la regia è ottima. L'unico appunto che si possa muovere nei confronti dell'opera riguarda la sfera morale. Da una parte, si potrebbe trarre la sensazione che il desiderio del protagonista di tornare ad una vita per quanto possibile normale venga colpevolizzato, mentre, per quanto cozzi contro la realtà delle cose, appare assolutamente giustificato e meritevole di protezione sociale. Ma ben più grave è il messaggio che, involontariamente si suppone, il film finisce per veicolare, e cioè che chi appartiene ad una categoria fisicamente menomata debba vivere in un ambiente, in un mondo, nel quale sono ammessi solo gli appartenenti a tale categoria, escludendo di fatto i rapporti con il resto della società. E' fin troppo evidente che da qui ad affermare che tale soluzione possa o debba essere estesa anche a chi appartiene a categorie socialmente disagiate, il passo è breve, anzi brevissimo. E così tutti coloro che, per condizioni economiche, razziali, politiche, religiose, sessuali o che altro, portano lo stigma della diversità, dovrebbero rinchiudersi in ghetti (o magari venire emarginate dal sistema) e vivere una vita senza speranza. Alla faccia dell'integrazione. Con tanti saluti a Virgilio e al suo "Omnia vincit Amor".
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