Regia di Spike Lee vedi scheda film
Spike Lee è Spike Lee. Ovvietà, ma nemmeno così tanto: se il regista/sceneggiatore è sempre riconoscibile, comunque le sue opere sono peculiari e irriproducibili da altri. Ha un suo marchio di fabbrica, pur dimostrandosi autore e non semplice, modesto artigiano. Il contrasto fra padre e figlio, le perenni problematiche del razzismo e dei contrasti per il colore della pelle, la difficoltà nel compiere la scelta più sensata, logica e ragionevole, nel dimostrarsi uomo, cresciuto, adulto insomma: in He got game c'è tutto questo, ma tutto questo era già (e sarà di nuovo) nei precedenti e successivi lavori di Lee. E' una parabola arcuata, quella che percorre Gesù (nell'originale sarebbe Jesus: inspiegabile la traduzione nella versione italiana), che ha un enorme potenziale fra le mani ed un futuro tutto da dimostrare - come già accadde ad un suo omonimo tempo prima - e può permettersi di fare una ed una sola scelta. Similitudine che, infine, accosta la vita del protagonista ad una partita di basket. Gustoso.
Un ragazzino è un fenomeno del basket; i college se lo contendono e la scelta pare complessa. Inoltre cerca di influenzarlo anche il padre, con il quale ha sempre avuto un pessimo rapporto e che al momento è in galera, ma potrebbe ricevere un sostanzioso sconto della pena se il figlio si iscrivesse al college della contea in cui si trova il suo penitenziario. Il problema principale, però, è riuscire ad instaurare un dialogo con il ragazzo.
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