Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film
Credo che la notorietà di “Ultimo tango a Parigi” sia dovuta più alle vicende giudiziarie e politiche che lo hanno accompagnato per anni che al suo reale valore cinematografico. Lo considero un film noioso, pieno di lungaggini, scene insulse e dialoghi da strapparsi i capelli. Bernardo Bertolucci, che solo due anni prima aveva realizzato un capolavoro come “Il conformista”, cede ad un quasi patetico desiderio di emulare (fuori tempo massimo) lo stile e le modalità narrative della “Nouvelle Vague”, strizzando l’occhio soprattutto a Jean-Luc Godard, come reitererà nel suo molto più riuscito “The Dreamers” (2003). Qui, il punto più debole è certamente la sceneggiatura. Marlon Brando e Maria Schneider s’incontrano, parlano solo per sparare sentenze, imitano versi di animali, si accoppiano con o senza burro e, secondo me, si annoiano. Non meno dello spettatore, che si tratti di un appassionato di scene erotiche o di un intellettuale in cerca di grandi messaggi. Alcuni film di Godard sono insopportabili come questo, ma il regista franco-svizzero aveva dalla sua un’ironia e un senso del surreale che al Nostro mancano completamente, benché la vicenda narrata faccia ben pochi conti con la realtà. Attori come Massimo Girotti, Jean-Pierre Léaud e Laura Betti cono buttati lì, in piccoli ruoli che non aggiungono alcunché ad una storia già vuota. Marlon Brando gigioneggia a più non posso, trova un ruolo brutto ma talmente mediatizzato da garantirgli uno spettacolare rilancio dopo un periodo di crisi nella sua carriera. Confermerà comunque di essere un gigante con la sua magnifica prestazione ne “Il padrino” di Francis Ford Coppola, girato lo stesso anno. Quello, però, era Cinema con la classica “C” maiuscola. Il mio giudizio è conseguentemente negativo sul piano cinematografico, ma sono legato a questo film da un ricordo personale. Correva l’anno 1976. Dopo quattro anni di censure, condanne e traversie giudiziare, “Ultimo tango” viene addirittura condannato al rogo! Il partito radicale, la cui politica era all’epoca decisamente anticlericale, socialista e libertaria, decide di protestare contro la sentenza della Corte di Cassazione proiettando pubblicamente una copia del film. Come racconta la giornalista Loredana Lipperini in un articolo pubblicato il 24 settembre 2013 sul sito la Repubblica.it, “ Fu una proiezione annunciata, seguita dall'arrivo della polizia e dal sequestro delle pizze. Peccato che nelle medesime ci fosse la ripresa di un comizio radicale: uscite le forze dell'ordine, il film si proiettò lo stesso”. Quel giorno, mi ero improvvisato proiezionista. La sala era gremita di gente, in gran parte giornalisti. Non appena vidi affacciarsi dal fondo le divise dei carabinieri, interruppi la proiezione, staccai la pizza dall’apparecchio e la scambiai con la falsa pellicola, grazie ad un “complice” che me la passò attraverso una porta socchiusa alle mie spalle. Lo scherzetto mi costò una denuncia e la privazione di passaporto per una decina di anni.
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