Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film
Girato nel periodo più creativo di Bertolucci, dopo un capolavoro del calibro de “Il conformista”, “Ultimo tango a Parigi” fu il suo film più controverso e il suo più grande successo internazionale. Fu un successo di scandalo ed ebbe un travagliato caso di sequestro giudiziario in Italia, ma questo non deve portare a trascurare la sua sostanza artistica, che rimane valida ancor oggi. La storia di Paul e Jeanne, del loro rapporto anticonvenzionale che non prevede coinvolgimenti affettivi, ma che è destinato a naufragare a causa dei limiti troppo rigidi che i due si sono imposti, è ancora ricca di significato in un’epoca in cui la solitudine affettiva è tornata prepotentemente alla ribalta. La parte finale, in cui emerge una tensione verso l’altro che possa superare la disperazione della solitudine, ma che farà scattare invece la tragedia, risuona quasi come un monito romantico all’impossibilità di voler costringere il sentimento amoroso dentro confini troppo angusti. Riviste oggi, scene come quella famosa del burro non suscitano più scandalo, ma mantengono intatta una certa carica sanamente provocatoria; personalmente trovo memorabile soprattutto il monologo di Brando davanti al cadavere della moglie suicida, pieno di un pathos ancor oggi struggente, e l’altro monologo dell’attore, sdraiato a letto, che rievoca episodi della sua giovinezza, una famiglia sbandata e un infelice tentativo di corteggiamento di una ragazza. La fotografia del mago delle luci Storaro eccelle quasi come ne “Il conformista” nel riprendere una Parigi a tratti solare e a tratti più cupa e stilizzata, e la colonna sonora di Gato Barbieri, che suona anche il sassofono, è divenuta giustamente famosa. Marlon Brando fu coraggioso nell’accettare il ruolo “rischioso” di Paul che, insieme al don Vito Corleone del “Padrino” di Coppola, si trasformò in un doppio trionfo artistico e commerciale per l’attore: la sua interpretazione resta impregnata di un’angoscia di forte risonanza, che gli fece ottenere un’altra nomination dopo l’Oscar rifiutato per “Il padrino”. Ma anche la sfortunata Maria Schneider resta di un’ammirevole freschezza e spontaneità, perfetta in certi monologhi sul “matrimonio pop” o le sue prime esperienze sessuali, ed è da rimpiangere che questo ruolo le abbia causato una sofferenza personale che in seguito le impedì di costruire una significativa carriera di attrice. In quanto a Jean-Pierre Leaud, fa sempre piacere rivederlo, ma il suo ruolo di fidanzato regista sembra un po’ troppo una strizzatina d’occhio cinefila a Godard e Truffaut. Nei ruoli minori si rivedono alcuni interpreti del lontano Neorealismo come Massimo Girotti in una partecipazione non troppo influente, e due attrici che interpretarono “Roma città aperta” e poi sparirono praticamente nel nulla, Maria Michi e Giovanna Galletti.
Voto 9/10
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