Regia di Paulo Rocha vedi scheda film
Lisbona, anni Sessanta. Julio fa il garzone in una calzoleria, Ilda la cameriera in casa di una famiglia ricca. Si incontrano per caso, cominciano a frequentarsi; se lei si sente sempre più presa da quel rapporto, però, lui man mano si allontana da lei.
Con questa pellicola, a soli 28 anni, Paulo Rocha debutta dietro la macchina da presa, dopo un breve, ma certo intenso apprendistato che lo ha visto assistente di Jean Renoir per Le strane licenze del caporale Dupont (1962) e di Manoel de Oliveira in un paio di titoli (Il pane, 1959, e Atto di primavera, 1963). Anche il Portogallo ha avuto una sua ‘nouvelle vague’ in quegli anni e I verdi anni ne è una delle maggiori testimonianze: un film che racconta in maniera cruda, verista il peso di un’inadeguatezza generazionale, quella che investe i figli della ricostruzione postbellica, per i quali anche gli anni migliori (verdi, per l’appunto) significano fatica, sofferenza, rinuncia ai propri sogni. In un bel bianco e nero – fotografia di Luc Mirot – e un’ora e mezza di durata vediamo così raccontata la discesa verso la follia da parte di Julio, ragazzo qualunque della Lisbona dei primi anni Sessanta; se il suo interprete Rui Gomes non pare granché convincente (non avrà una lunga carriera come attore, del resto), meglio ne esce la coprotagonista Isabel Ruth, alla sua prima esperienza cinematografica dopo alcune particine in lavori televisivi. Si segnala inoltre il Maestro de Oliveira in un ruolo marginale, accreditato nei titoli di testa. L’idea che rimane al termine della visione è che le ambizioni di Rocha, anche sceneggiatore insieme a Nuno Bragança, siano rimaste in gran parte inespresse: forse per il budget evidentemente limitato e forse perché realmente eccessive. 4,5/10.
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