Regia di George A. Romero vedi scheda film
Se l'inferno romeriano de La notte dei morti viventi era solo agli inizi, in Zombi dilaga e investe l'intera società umana. L'apocalisse si avvicina ogni volta che aprono un nuovo tempio del consumo. Voto affettivo: 11 /// Voto estetico: 10 + come il pollame umano che si sbrana a vicenda mentre gli zombi se lo pappano di gusto.
Se ne La notte dei morti viventi la fine del mondo appariva ancora lontana e l'inspiegabile epidemia di cadaveri che ritornavano in vita sembrava un fenomeno transitorio e controllabile, in Zombi, dieci anni dopo, assistiamo al dilagare di una nuova pestilenza che investe l'intera società umana in modo irrevocabile. È l'alba dei morti viventi (come suggerisce il più suggestivo titolo originale), una resurrezione dal sapore biblico e apocalittico che però produce una escatologia alla rovescia, che punisce fatalmente una civiltà sempre più evoluta e sempre più impossibile da redimere. Il mito zombesco reinventato da Romero, l'allegoria che scaturisce dalla figura dello zombi moderno, conserva intatta (e brutale) la sua attualità a distanza di decenni. Basta vedere le immagini di masse di consumatori odierni che si accalcano davanti alle vetrate dei negozi in attesa dell'inizio del black friday per rendersi conto dell'efficacia e della lungimiranza della metafora romeriana, che punta il dito contro una civiltà che ha fatto del consumo una vera e propria religione, una idolatria stracolma di credenze e feticci che misurano la decadenza dell'Occidente.
"Ma perché ritornano in un grande magazzino?". La risposta che Stephen dà a Francine è "l'istinto, il ricordo di quello che erano abituati a fare", perché i vivi, prima di morire e di resuscitare, erano già istintivamente indotti a deambulare in un tempio commerciale. Come se a un livello spirituale fossero già dei morti viventi prima ancora di diventarlo a livello biologico.
"Noi siamo loro e loro sono noi": è un vero e proprio leitmotiv che trova riscontro in tutta la poetica romeriana. Per questo motivo, quando il dottor Millard Rausch sostiene che queste mostruose creature sono guidate solamente "da puro istinto emotivo", pare che Romero alluda non tanto ai risorti, ma piuttosto ai vivi. Anche Wooley, il poliziotto della squadra Swat che si diverte a compiere una strage (non tanto di morti viventi quanto di vivi) è dominato da un puro istinto emotivo che lo porta a odiare il diverso e a massacrare ogni portoricano che gli capita a tiro. Wooley è l'indegno rappresentante di una totale deriva del genere umano che si manifesta in tutta la sua evidenza e recrudescenza quando si palesa l'apocalisse.
Romero preferisce i morti viventi ai vivi morenti, perché gli ultimi sono più pericolosi, più spietati, paradossalmente più disumani dei primi. I morti viventi non sono né coscienti né razionali, sono solamente dominati da una fame atavica e irresistibile che infrange il più inviolabile dei tabù inducendoli a divorare la carne dei loro simili. Dal canto loro, i vivi morenti si divorano a vicenda e al contempo sono divorati dal loro stesso egoismo, agiscono irragionevolmente, sono spesso irrazionali fino a toccare le vette dell'imbecillità.
"Quando i morti camminano, signori, bisogna smettere di uccidere o si perde la guerra". Il monito pronunciato dal vecchio prete portoricano rimane infatti inascoltato dai sopravvissuti, e le carneficine più feroci saranno commese dai vivi contro i vivi, non dai morti viventi.
Il capolavoro scritto e diretto da Romero è un autentico pugno nello stomaco e negli occhi dello spettatore, uno shock visivo dalla forza devastante, una miscela di puro terrore ed umorismo macabro che non concede un attimo di tregua allo sguardo. All'incedere serratissimo e quasi fumettistico del montaggio fa da contraltare l'incedere delle creature romeriane (truccate dal mago Tom Savini), con la loro andatura claudicante, con un'inesorabile lentezza che le rende ben più inquietanti degli zombi velocisti a cui ci ha abituato il cinema zombesco degli ultimi anni. Sono lo specchio in cui possiamo rifletterci e riconoscere i nostri tratti. Noi siamo loro e loro sono noi, appunto.
Due parole a parte per la versione europea curata da Argento: la musica incalzante dei Goblin, che irrompe con maggiore frequenza rispetto alla versione romeriana, crea un panico impareggiabile, ma la scelta argentiana di ridurre la pellicola di circa 20 minuti, tagliando alcune scene che approfondiscono la psicologia dei personaggi e altre sequenze formidabili (nella versione argentiana non c'è traccia dello zombi decapitato dalle pale dell'elicottero) tolgono al film alcuni elementi importanti. Ciononostante, in qualsiasi versione la si guardi (a eccezione di quella sciaguratamente censuratissima che talvolta passa in televisione), l'opera di Romero rimane un qualcosa di assolutamente inimitabile e irrinunciabile per tutti gli amanti della settima arte. Si astengano o, meglio, prendano un antiemetico prima della visione gli amanti del cinema deboli di stomaco.
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