Regia di Aurelio Grimaldi vedi scheda film
Un’antologia della critica:
Morandini dà a Piera degli Esposti la parte di Susanna Colussi, madre del poeta, in realtà nel film è madre di Valerio, nel secondo episodio.
Segue la stroncatura del film:
“… è un film a tesi: partendo dalla premessa che l'omosessualità fu un elemento centrale nella vita e nell'opera di P.P.P., intende dimostrare che la sua unicità e grandezza di artista deriva dalla capacità di rappresentare, dopo averli vissuti, “gli abissi del genere umano”, ma ha la profondità di uno stagno. Frutto di un'operazione almeno dubbia sul piano etico, è un film povero di mezzi ma anche di invenzioni, piccoloborghese nella velleità di provocazione, abitato da personaggi a due dimensioni con qualche momento di sincerità espressiva nella parte centrale, specialmente quando descrive i rapporti tra l'innominato poeta e sua madre (appunto quella che crede P. Degli Esposti). Il siciliano Grimaldi aveva l'intenzione di fare un film “politicamente scorretto”. È soltanto inetto e scostante.”
Laura Betti, direttrice della 'Fondazione Pasolini', nel ’96, all’uscita del film, dichiarò che Nerolio non andava fatto e non l’avrebbe visto:
“ Si lascino in pace gli amici veri di Pier Paolo, per loro la sua assenza non è cosa facile. lo riesco a essere più imparziale, ma sono sicura che 'Nerolio' mi darebbe fastidio."
Rifiutato dalla Mostra del Cinema di Venezia di quell'anno, Gian Luigi Rondi dalle colonne del Tempo il 21 ottobre 1998: "Valuto e discuto, sul piano della qualità e del gusto, queste interpretazioni che scendono a livelli, se possibile, anche più bassi di quelli delle 'Buttane'. Violenza grezza, aggressività gratuita anche nei dialoghi quasi sempre da trivio; in contrasto con un commento che infittisce la colonna sonora di stanchi filosofemi, ora intrisi della letterarietà più facile, ora inclini alle più fastidiose provocazioni, senza mai né misura né ritegno, allontanandosi non solo dal 'vero' Pasolini, ma anche da un possibile personaggio narrativamente costruito secondo una sua logica e secondo altre dimensioni al di fuori di quelle, ossessivamente proclamate, della sua diversità. Un film da dimenticare, perciò, e che, essendo rimasto in magazzino ben due anni dopo la sua realizzazione, poteva anche restarci. Non se ne sarebbe sentita la mancanza."
Invece Lietta Tornabuoni:
'Nerolio' è intenso, a volte emozionante, non bello: l'invadente materia del racconto s'è mangiata quello stile così forte e insieme elegiaco mostrato da Grimaldi ne 'Le buttane', 1994. Ma il film è importante se, magari a costo di qualche abuso, restituisce a Pasolini una verità differente dalle normalizzazioni e santificazioni intervenute dopo la morte, se corregge l'ansiosa rimozione di sesso e carattere, se restituisce alla cultura un personaggio d'artista più aspro ma forse più autentico." (L'Espresso, 29 ottobre 1998)
Ciò detto, ne consiglio la visione, conoscere Pasolini e, soprattutto, amarne la corrosiva capacità di dire ogni volta quello che pensava ed essere sè stesso a tutti i costi, “in un paese orribilmente sporco”, sporco quando veniva espulso dal PCI e sporco ancora nel ’96, quando censurava questo film, richiede questa visione, finalmente capace di rispettarlo, di trattarlo come persona.
Il sesso, tanto esorcizzato dal perbenismo dominante e morbosamente evocato ogni volta che si parla di lui, ha stretto Pasolini come una morsa da ogni parte, detrattori e cosiddetti amici che ne hanno fatto un’ icona, al punto da inventare anche ipotesi di complotto sulla sua morte.
Pasolini era vitalità pura, "disperata passione di essere al mondo", il suo era un mondo d’amore e a quei ragazzi chiedeva un sorriso.
Grimaldi ce lo restituisce, come dice Tornabuoni, più aspro ma forse più autentico.
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