Regia di Aurelio Grimaldi vedi scheda film
Che cosa rimane della cinematografia dedicata a Pasolini? In una ideale classifica il Pasolini di Abel Ferrara giace ultimo senza personalità, senza nerbo, senza impegno; “La macchinazione” di David Grieco e “Pasolini, un delitto italiano” di Marco Tullio Giordana rientrano nel genere complottistico. Basate su tesi suggestive e discutibili.
“Nerolio” di Aurelio Grimaldi è da rivalutare e collocare tra le meglio riuscite. L’opera dell’autore di “Mery per sempre”, all’epoca, venne ostracizzata dagli amici e familiari di PPP. Suddiviso in tre episodi per tre stagioni della vita del poeta di Casarsa, emerge come ritratto originale e verosimile. Un viaggio in Sicilia per mettere in pratica le pagine allora inedite di Petrolio: la descrizione di giovani ragazzi, del loro sesso, del fare l’amore non solo come liberazione, bensì come un fatto naturale quanto mangiare, bere, evacuare. Grimaldi mette in scena, fin dal sublime b/n di Maurizio Calvesi, un Pasolini arrabbiato, scostante, sboccato, definitivo come il suo Salò. Ricalca lo stile sperimentale, o meglio dilettantistico, meglio ancora semplice e diretto di “Accattone” e altre pellicole. Il pianoforte di Maria Soldatini richiama Satie e il Bach amato dal regista/scrittore accompagna in modo solenne la cifra malinconica, cupa e poetica del racconto.
Il secondo episodio vede co-protagonista Valerio Varzo, un giovane che si spaccia per uno studente che sta preparando la tesi sul poeta. Cominciano una serie di interlocuzioni in cui Varzo assume il ruolo di coscienza critica e l’intellettuale rintuzzato reagisce con violenza verbale. Ecco un P. ossessionato dalle recensioni negative delle sue ultime opere, che vive la sessualità come libertà contrapposta al moralismo bigotto, all’ipocrisia rappresentata qui dalla madre di Valerio. Il video intervista che inframezza i capitoli è intitolato scandalo o rivelazione. Ed è questa la linea tracciata da Grimaldi e impersonificata con aderenza fisica e vocale da Marco Cavicchioli. Altro punto a favore della visione (s)oggettiva del regista è l’amore assoluto per la madre.
Il terzo episodio racconta l’omicidio di Pelosi: essenziale, lucido, realistico in cui inseguendo un nuovo mondo d’amore di carne, sesso, sangue e strade incontra il destino.
Si chiude con l’inquadratura di P. a terra nella spettrale Ostia e una voce off che legge le recensioni negative e strumentali di “Salò o le 120 giornate di Sodoma”.
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