Regia di Sophie Deraspe vedi scheda film
FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2019 - SELEZIONE UFFICIALE "Mon coeur me dit... È il mio cuore che mi ha detto di agire così".
Antigone, ragazza teen di origini lontane, rifugge la rigida inflessibile giustizia della società occidentale che l'ha accolta come profuga-bambina assieme ai tre fratelli e alla nonna, dopo l'uccisione dei genitori in patria.
Quando infatti, dopo anni di vita tranquilla ed integrata nella società canadese, le cose si mettono male a seguito dell'uccisione del fratello onesto da parte della polizia in cerca di incastrare l'altro fratello, quello divenuto spacciatore, la ragazza reagisce e, da collante più efficace del suo nucleo familiare, sceglie di difendere senza indugio i propri cari, andando contro la legge, ed incontro ad una dura e sofferta incarcerazione.
Non è un caso che la protagonista si chiami Antigone, e nemmeno che i fratelli rispondano al nome di Ismène, Polynice, Etèocle; come pure che la nonna si chiami Mécénée, o che, ad un certo punto della concitata vicenda, intervenga pure una psicologa cieca che si fa chiamare Teresa, come l'indovino Tiresia.
La regista canadese Sophie Deraspe ha l'ottima intuizione di trasporre ai nostri tormentati giorni di migrazioni e persecuzioni che incoraggiano viaggi della speranza, che a sua volta alimentano intolleranze e discriminazioni, la nota tragedia di Sofocle, accentuandone l'universalita' e la sconcertante attualità rispetto alla drammatica realta odierna di una società sempre più divisa tra ricchezza e povertà estreme.
Certo l'idea che sta alla base dell'intuizione non è nuova ed ha gia ispirato altre precedenti trasposizioni da celebri autori letterari, sia greci che altri altrettanto illustri e noti, più vicini ai nostri tempi, come avvenuto anni fa con le tragedie anglosassoni di Shakespeare, attualizzate all'oggi con soluzioni anche stravaganti e curiose.
Qui, tuttavia, l'ispirazione intuitivamente forte ed appropriata pare prendere sin troppo la mano alla cineasta, che si perde spesso in forzate provocazioni di scrittura, in capricci ed insofferenze con cui si colorano caratteri ed atteggiamenti dei protagonisti, spesso di calcolato bell'aspetto, con le loro faccine corrette ed accattivanti, appropriate per giocare su una sin troppo facile e calcolata indignazione, foriera di facili entusiasmi e consensi.
Ne scaturisce un film di carattere, certo, ma sin troppo provocatorio e strumentaluzzato, che insegue il suo teorema senza uscita, conducendo lo spettatore lungo un percorso privo di destinazione, che pare sin troppo calcolatamente ricattatorio. Per un cinema che affronta il mondo giovanile e la cultura classica degli albori, allora meglio, molto meglio un film di rottura ben più ispirato e puro, coraggioso ed esente da ricatti come La schivata, di un ancor giovane Kechiche.
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