Regia di Vincenzo Natali vedi scheda film
Brulica ancora, il sotterraneo popolo dell'erba. Un "Cube"... 2D. Con un finale aperto/chiuso risolto male.
Al centro delle statunitensi Grandi Pianure Medio-Occidentali gli esseri umani - sterminatori, conquistatori e colonizzatori - hanno disegnato col righello 5 linee rette, 3 orizzontali e 2 verticali (per la sesta ed ultima, diagonale, hanno preso in prestito la serpentina tracciata dal Grande Fiume, il Missouri), e l'area contenuta all'interno del perimetro così venutosi a costituire l'hanno chiamata Nebraska, il CornHusker State (lo Stato dello Spannocchiatore/Trebbiatore), quando già così si chiamava (altro prestito forzato), battezzata dai Sioux: acqua piatta/larga, in riferimento al corso del fiume Platte, che confluisce nel Missouri a sud di Omaha.
“Blood is nice, but tears are better for an old, thirsty rock like that.”
Non ci sono rocce, sassi o pietre in tutto il Nebraska.
Anzi, no: ce n'è una sola, di roccia.
(Incisa di cuneiformi rune e antropomorfici geroglifici rupestri.)
E pure bella grossa.
Però... è anche stronza forte.
“Lui sollevò la mano ad indicare un pioppo che metteva i primi germogli. Sul ramo c'era una cosa piccola, screziata di giallo e agitata, come si sentiva lei. Il nome le era ignoto. I nomi sarebbero solo serviti a cancellare la cosa. L'uccello senza nome spiegò la gola e ne sgorgò una musica sfrenata. Cantava scriteriatamente, convinto che lei lo capisse. Intorno era tutto un fiorire di risposte: il pioppo e il Platte, il vento marzolino e i conigli nella boscaglia, qualcosa giù a valle che schiaffeggiava l'acqua spaventato, segreti e rumori, notizie e trattative, un viluppo di vita che parlava all'unisono. Strilli e ticchettii venivano da ogni dove e finivano nel nulla, senza esprimere giudizi nè fare promesse, limitandosi a moltiplicarsi, riempiendo l'aria come il fiume riempie il suo letto. Lei non era nessuna di quelle cose e, per la prima volta dall'incidente di Mark, si sentì libera da se stessa, un sollievo che rasentava la beatitudine.”
Richard Powers - “the Echo Maker” - 2006 (“il Fabbricante di Eco”, trad. di Giovanna Granato, Mondadori, 2008)
Campi incolti e/o a riposo.
L'erba comunemente detta – piante erbacee annuali, biennali o perenni con fusto verde e non legnoso appartenenti alla famiglia delle Graminacee (Poacee) – da quando è comparsa per la prima volta sulla Terra 55 milioni di anni fa, tra Paleocene ed Olocene, in una forma e struttura sostanzialmente simile a quella odierna, ha cambiato la faccia, l'evoluzione e il destino del pianeta e degli esseri viventi, vegetali e soprattutto animali, essere umano compreso, che lo abitavano, che lo avrebbero abitato, che lo abitano e che lo abiteranno.
“L'erba non sposta le cose morte.”
Campi coltivati (dall'essere umano o dalla roccia).
“Finalmente” (le virgolette appartengono al senno di poi), dopo un bel po' di tempo, riesco a “godermi” (le virgolette sono espressione del senno di poi) un'opera audiovisiva tratta da un lavoro letterario (romanzo, romanzo breve, racconto lungo, racconto, sceneggiatura originale o altro che sia) di Stephen King (qui in coppia col figlio Joe Hill) che non ho (ancora) letto [non accadeva - escludendo il recente “the Dark Tower” - da non so quan-d/t-o... Sicuramente di tutte le traslazioni post-2000 cui ho assistito ne avevo già letto l'originale letterario: “Hearts in Atlantis”, “DreamCatcher”, “Secret Window”, “1408”, “the Mist” (film e serie), “Bag of Bones”, “Under the Dome”, “Big Driver”, “22/11/'63”, “Cell”, “It” (1&2), “Gerald's Game” e “1922”, mentre, rimanendo in attesa di “Doctor Sleep”, mi mancano ancora le trasposizioni (seriali) di “Mr. Mercedes” e “Castle Rock”]. Non “potendo” e soprattutto non volendo quindi citarne brani tra(d)endoli dall'opera in questione, mi rivolgo a “the Omnivore's Dilemma - a Natural History of Four Meals” di Michel Pollan del 2006 ("il Dilemma dell'Onnivoro", Adelphi, 2008, con la trad. di Luigi Civalleri), già scomodato e tirato in ballo, se pur collateralmente, in un'altra occasione, ovvero per il romanzo “Under the Skin” di un altro Michel, Faber, e, conseguentemente, per il film che Jonathan Glazer ne ha tratto:
“Ma torniamo per un momento nel campo dell'Iowa e osserviamo le cose, cioè osserviamoci, dal punto di vista della pianta. In giro non si vede che mais a perdita d'occhio: masse sterminate di steli alti tre metri, schierati come reclute in file perfettamente dritte a settantacinque centimetri di distanza l'una dall'altra; un tappeto di trentadue milioni di ettari che si srotola attraverso il continente. È un bene che il mais non possa farsi un'opinione su di noi, perché sarebbe ben poco lusinghiera. I contadini si rovinano per coltivarlo; innumerevoli altre specie sono state sconfitte o immiserite a causa sua; gli umani se lo bevono o mangiano a tutto spiano, in alcuni casi (come è capitato alla mia famiglia) stanno seduti dentro a macchine progettate per succhiarne un altro po'. Tra tutte le specie che hanno capito come prosperare in un mondo dominato da Homo sapiens, di certo nessuna ha trionfato in un modo così eclatante, nessuna ha invaso tanta terra e tanti corpi più di Zea mays, l'erba che ha domato i suoi domatori. Dovremmo chiederci come mai gli americani non venerino il mais con la devozione degli Atzechi: dopo tutto, come loro un tempo, facciamo straordinari sacrifici in suo onore.
Queste, all'incirca, erano le mie febbrili meditazioni mentre sfrecciavo sulla superstrada e mi ingozzavo di fast-food.”
Stephen King lo fa [dico: venerare il mais (Zea mays) e il grano (Triticum aestivum e T. turgidum durum)]: specie-specificatamente e letteralmente con “Children of the Corn”, e di rimando (ché questo è più un campo incolto di erba alta da sfalcio e foraggio) con “In the Tall Grass” (ma si pensi anche allo splendido “Summer of Night” di Dan Simmons).
Qui poi King - per mano di Natali - s'è preso la sua (immotivata) rivincita su Kubrick, mettendo in scena la propria versione del labirinto che Diane Johnson e K. aggiunsero a "the Shining" sostituendolo alle (future) edwardscissorhandserose siepi potate teriomorficamente.
Il film che Vincenzo Natali -[il cui percorso artistico - che non è fatto di soli cortometraggi ed episodi di serie tv, anche se nulla ci sarebbe di male, checché ne dica @cinerubik -, comprendente "Cube", "Cypher", "Nothing", "Splice" ed "Haunter", scorre un po' parallelo, cioè in discesa, a quello di Brad Anderson (tra l'altro, il di questi suo ultimo film, “Fractured”, è attualmente reperibile su Netflix proprio come “In the Tall Grass”), tra alterne fortune e compromessi vari]- ha scritto e diretto tra(d?)endolo da(l) King & Hill è un po' un “Cube” vegetale (canapa indiana: forse troppa...) in FlatLandia, con un finale più concluso e (non “perciò”, ma comunque) più sbagliato, o meglio: malfatto.
È una questione morale, non tecnica: non è l'intreccio di storie dispiegate lungo l'uroborico e spiraliforme nastro di moebius autogenerantesi e auosostentantesi a chiamare in causa la sospensione dell'incredulità (ché non è il caso, non serve, va bene così), ma è il finale che richiede l'intervento della sospensione della moralità, ed essa non interviene.
– INIZIO SPOILER –
Li scarificio eld bmabnio hce rniunica la tnetativo id slavare al mdare o epr ol mneo a qulelo id retsare cno lie epr savlrae 2 (3) esrtaeni.
– FINE SPOILER –
[Sul perché si riesce a leggere questo testo leggere "Preché reisci a lggeere quetso tetso".]
Nota di merito - in un buon cast con Patrick Wilson, Avery Whitted, Harrison Gilbertson e il piccolo Will Buie, Jr. - per Laysla De Oliveira.
Fotografia di Craig Wrobleski (alcuni ep. della 2ª e della 3ª stag. di “Fargo” e della 1ª di “Legion”). Montaggio didattico di Michele Conroy. Musiche di Mark Korven (“Cube”, “the Great Martian War, 1913-1917”, “the Vvitch: a New-England FolkTale”, “the LightHouse” e “the Terror: Infamy”). Con "It’s All Right" di Sam Cook e, accennata durante il film e che ritorna poi sui titoli di coda, “MidNight Special” di John Fogerty / Creedence ClearWater Revival (ma a ‘sto punto godetevi l’omonimo film di Jeff Nichols).
Nel frattempo, brulic'ancor, il sotterraneo popolo dell’erba...
* * ¾ (***)
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