Regia di Sophia Takal vedi scheda film
Facciamo un ripasso: in principio fu “Black Christmas” di Bob Clark. Era il 1974 e il film segnò per sempre il genere, imponendosi come padre dello slasher e rimanendo a tutt’oggi l’horror natalizio per eccellenza. Trentadue anni dopo, un deludente remake giustamente passato in sordina (ma guardatelo se avete voglia di un pasticcio splatter dove divertirvi e ingozzarvi di pop corn). Ora, in piena era #MeToo, ecco questo terzo remake (ne ho forse dimenticato qualcuno?). Che si badi, non è un horror, perché dell’horror non ha nulla: rifugge la violenza e il sangue come fossero la peste (quando invece sono parte della linfa vitale del genere), ma anche il terrore e la suspense che conferiscono spessore e credibilità all’orrore. Ecco, l’orrore. Non solo e non tanto quello della conta dei morti, degli ammazzamenti e delle uccisioni standardizzate, ma anche e soprattutto l’orrore dello stupro e della concomitante umiliazione (personale prima che pubblica). Un tema qui ridotto a favoletta per tredicenni, banalizzato in maniera irresponsabile, con la complicità di un finale aberrante.
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