Regia di Alberto Grifi, Massimo Sarchielli vedi scheda film
Assurde le difficoltà di circolazione e l'indifferenza riportate nei confronti di "Anna" di Alberto Grifi e Massimo Sarchielli, anche perché è una delle lezioni di verità (assoluta, non cinematografica) più sconvolgenti mai viste a livello internazionale. La storia dell'adolescente ritrovata a piazza Navona, lavata e accudita da uno dei due registi, è un esempio spettacolare di come il cinema non sia un'arte limitata, ma estesa a livello tale da andare ben oltre le volontà del regista e dell'artista, in assoluto. Non ci sono parole per descrivere lo spiazzamento del momento in cui la storia immaginata dai registi perde il controllo, si lascia sradicare dalle poche certezze di un'adolescente tutt'altro che timida che si innamora di un sempliciotto operaio della Pirelli. Le intere sequenze in cui i personaggi sono distesi sul divano a parlare di poco e niente, ma in realtà a dimostrare la natura totalizzante dell'arte senza neanche saperlo, richiamano chiaramente (e ci fanno pensare) al cinema warholiano e di Paul Morrissey, l'underground più estremo e disattento. Qui la disattenzione è alla base, al livello tale che non c'è tanto da celebrare i registi se non per la loro cocciutaggine nel continuare a riprendere il fallimento dell'arte, e contemporaneamente la sua salvezza. "Anna" è lunghissimo, di una lunghezza sconsiderata, come lo è però l'intera nostra trascinata vita. Non si ferma un attimo, lo sguardo sconvolto dei registi, che riprendono con apparente noncuranza la ragazza incinta e drogata, da loro salvata e ingannatrice come tutte le adolescenti (da Lolita in giù). E se la regia è sporca come la realtà di un'Italia confusa (ripresi spesso anche i caos esterni, sulle strade di una Roma tutt'altro che da imperatori), l'arte cinematografica si lucida con un'esperienza mai concepita e assolutamente irripetibile.
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