Regia di Ruben Fleischer vedi scheda film
Non è mai troppo tardi per rispolverare una gallina dalle uova d’oro. D’altronde, per quanto posticipato, il passo successivo alla scoperta è lo sfruttamento. Una garanzia (commerciale) di richiamo, con una base solida da cui partire (e da spartire), sulla quale è possibile tergiversare senza colpo ferire.
Nel caso di Zombieland: Doppio colpo, Ruben Fleischer - reduce dal clamoroso successo di Venom - non fa altro che rincarare la dose, con un falso – per quanto continuo - movimento, un pugno d’intuizioni brillanti e consistenti porzioni di rumore, procurate ad hoc per (cercare di) zittire evidenti mancanze spostando il focus altrove.
Dopo anni trascorsi in moto perenne, Tallahassee (Woody Harrelson), Columbus (Jesse Eisenberg), Wichita (Emma Stone) e Little Rock (Abigail Breslin) si stabiliscono in quella che una volta era la Casa Bianca.
Questo nuovo equilibrio viene scombussolato quando, per differenti ragioni, Wichita e Little Rock scappano senza preavviso.
Insieme alla nuova arrivata Madison (Zoey Deutch), Tallahassee e Columbus si mettono sulle loro tracce, sfidando le molteplici insidie che si annidano per le strade, con nuovi zombi evoluti - da loro soprannominati T-800 - sempre più feroci e difficili da uccidere.
Svanito per forza di cose l’effetto sorpresa presente in Benvenuti a Zombieland, Zombieland: Doppio colpo calca la mano, cercando rifugio in una sollecitata demenzialità.
Di conseguenza, su questo frangente è collocato gran parte del materiale esposto. In effetti, si ride parecchio (o almeno, è indubbio che in sala questo avvenga), ogni situazione ricreata ha questo scopo, tra calembour, citazioni e la new entry costituita da Madison/Zoey Deutch, oca giuliva fonte indiziata alla produzione di idiozie comiche.
Per il resto, a parte un pit stop dedicato a due falsi doppi, in cui Luke Wilson fa il verso di Tallahassee/Woody Harrelson, e alla meravigliosa presenza di Rosario Dawson, purtroppo precocemente abbandonata (l’unica situazione in cui il film non approfitta più del dovuto di quel poco che propone), questo secondo capitolo non sa che pesci pigliare e non intende andarseli a cercare.
Infatti, lo svolgimento è di rara piattezza e le molteplici didascalie inserite, con riferimento alle regole adottate da Columbus, finiscono per essere null’altro che invadenti, per non dire tediose (come si usa dire, il troppo stroppia).
Insomma, la sceneggiatura formulata da Rhett Reeves e Paul Wernick (Deadpool, Life – Non oltrepassare il limite e l’imminente 6 underground) sceglie l’eccesso e non si ferma di fronte a nulla, andando avanti per la sua strada a raggio circoscritto senza mostrare alcuna esitazione.
Alla fine, quest’operazione di puro consumo si salva in corner giustappunto per la sua esplosiva vis comica, per la carica dei suoi interpreti (su tutti, Woody Harrelson è sempre più un mito vivente, non puoi che posizionarti dalla sua parte), ma si limita al compitino (da scuola media) dando al film la filigrana di una parentesi obbligata (come lo è il siparietto retrodatato di Bill Murray), per nulla sentita, un’azione da espletare per fare felici i produttori (e fa specie ritrovarcisi Emma Stone, un’attrice che dopo La La Land non ha cavalcato l’onda a casaccio).
In pratica, un’occasione sostanzialmente sprecata, da un certo punto di vista avvilente (possibile non disporre di qualche idea in più?), da un altro comunque più che adeguata per sdrammatizzare i problemi di tutti i giorni trascorrendo una serata baldanzosa in compagnia.
Conservativo.
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