Regia di Robert Mulligan vedi scheda film
un fiammeggiante melodramma cheprova a raccontare una storia che potremmo connotare come una variazione molto più torbida e straziata sulle tematiche di “E’ nata una stella” (la fonte è un romanzo di Gavin Lambert – anche sceneggiatore) senza avere però il coraggio di pigiare il pedale fino in fondo, e quindi lasciando troppe cose non dette
Il film di Mulligan è un fiammeggiante melodramma che “tenta” di raccontare una storia che potremmo connotare come una variazione molto più torbida e straziata sulle tematiche di “E’ nata una stella” (ma la fonte è un romanzo di Gavin Lambert – anche sceneggiatore) senza avere però (purtroppo) il coraggio di “pigiare il pedale fino in fondo”, e quindi lasciando troppe cose “incompiute” o non dette con adeguata trasparenza. Ne viene fuori un prodotto disarmonico e in parte deludente (anche se per molti versi ugualmente affascinante). Non è la discontinuità – che pure si avverte fortissima – a creare il disagio della visione, ma il rendersi conto che le “tracce” sono solo labili impronte insufficienti per farci comprendere appieno la portata della “tragedia”. Certamente i tempi non erano maturi per “rappresentare” con la necessaria chiarezza anche sullo schermo “argomenti scottanti” che riguardavano comportamenti che venivano ancora considerati “deviazioni inopportune e pericolosamente fuorvianti” (correva l’anno 1965 e il codice Hays, seppure agli sgoccioli, era ancora imperante, stava dando gli ultimi ma non indolori “colpi di coda”) ma qualcosa di più si poteva davvero fare – era già stato fatto – se si avesse avuto il coraggio di “osare”, e ci aveva provato anche Lambert stesso, preparando una sceneggiatura molto più esplicita e articolata che fu oggetto di numerosi (troppi) interventi non solo da parte dei produttori che pretesero alcuni “aggiustamenti”, ma anche dello stesso regista e soprattutto di Robert Redford, preoccupato delle conseguenze negative che potevano derivare per la sua carriera senza “un annacquamento” che rendesse il tutto meno esplicito, che inizialmente doveva essere solo “addolcente”, ma che si rivelò invece così “radicale” da rendere persino difficile l’identificazione del problema reale, per lo meno per quanto riguarda il suo personaggio e i suoi effettivi “rapporti” con Daisy. Per capire meglio cosa intendo dire, penso che sia opportuno riproporre quanto scrive Vito Russo sul suo “Lo schermo velato” a proposito della genesi del film : JOHN SCHLESINGER CON IL SUO ‘DARLING’ AVEVA SUGGERITO QUALE POTEVA ESSERE IL PROSSIMO PASSO NELLA PERCEZIONE DELL’OMOSESSUALITA’ AL CINEMA, INTRODUCENDO IL TEMA DELLA BISESSUALITA’ (solo più accettabile, ma nemmeno questa considerata ancora “normale amministrazione”). IL VIRILE CAMERIERE ITALIANO CHE VA A LETTO UNA NOTTE CON JULIE CHRISTIE E LA NOTTE DOPO CON IL SUO AMICO FOTOGRAFO GAY ERA DOPOTUTTO SOLO UN CAMERIERE IN UN FILM STRANIERO SULLA VITA DECADENTE DELLE MODELLE E DEI LORO STRANI AMICI. EPPURE NELLO STESSO ANNO – IL 1965 – CI FURONO GROSSE DISCUSSIONI SUL PERSONAGGIO DI UN ATTORE BISESSUALE DI HOLLYWOOD, CHE DOVEVA ESSERE INTERPRETATO DA ROBERT REDFORD IN UN FILM AMERICANO. LA SCENEGGIATURA DI GAVIN LAMBERT PER ‘INSIDE DAISY CLOVER’(questo è appunto il titolo di cui si tratta) FU SOTTOPOSTA A DIVERSE RADICALI REVISIONI PER EVITARE PROPRIO QUEL TIPO DI SESSUALITA’ INCONSCIA E LIBERA CHE SCHLESINGER AVEVA DATO AL SUO CAMERIERE ITALIANO, FINO A NASCONDERE COMPLETAMENTE IL LATO OMOSESSUALE DELLA BISESSUALITA’ E FAR DIVENTARE IL TUTTO (anche l’orientamento ondivago fra i due sessi) COME IL SOLITO SPORCO SEGRETO (nemmeno tanto chiaro, insisto io). IL PERSONAGGIO DI REDFORD – UN ATTORE CINEMATOGRAFICO FAMOSO, MARITO DELLA STELLINA IN ASCESA DAISY CLOVER – ERA CONCEPITO ORIGINARIAMENTE COME UN OMOSESSUALE CHE SPOSA DAISY SU RICHIESTA DELLA SUA CASA CINEMATOGRAFICA, PER RAGIONI DI APPARENZA (si toccava evidentemente un tasto che rappresentava la consuetudine – e che non si riteneva opportuno disvelare - nella Mecca dorata delle illusioni, spesso per “garantire” con il matrimonio la confermata virilità maschile mettendola al riparo da troppe “insinuazioni malevole”, come era accaduto nel caso di Rock Hudson dopo che Hollywood Babilonia aveva reso di dominio pubblico molti particolari sulla sua prolungata relazione con Tab Hunter e non solo). MA REDFORD E IL REGISTA ROBERT MULLIGAN SI INNERVOSIRONO PER LA PIEGA CHE LA PARTE STAVA PRENDENDO (e per le possibili conseguenze) E INSISTERONO PERCHE’ FOSSERO FATTI ALCUNI CAMBIAMENTI: “NON VOLEVO INTERPRETARE WADE LEWIS COME UN OMOSESSUALE, COME LA SCENEGGIATURA INIZIALMENTE LO DESCRIVEVA (è Redford che si confessa – nel 1976 – con lo scrittore Jim Spada): VOLEVO INTERPRETARLO COME UN TIPO CHE GIOCA IN DIECI MODI – CON UOMINI, CON DONNE, BAMBINI, CANI, GATTI, QUALSIASI COSA CHE BLANDISCA IL SUO ‘IO’. UN NARCISISMO TOTALE”.(sic!!!). Le pressioni furono pressanti, e la sceneggiatura rimaneggiata: Wade diventò così “bisessuale”. Ma nemmeno questo evidentemente fu sufficiente a tranquillizzare gli animi, perché le modifiche si spinsero ben oltre, come ancora evidenzia Russo: MA A MANO A MANO CHE LE RIPRESE CONTINUAVANO, E POI ANCORA OLTRE DURANTE IL MONTAGGIO, LA NUOVA VISIONE DELLA BISESSUALITA’ DI WADE LEWIS DIVENTAVA SEMPRE MENO SPECIFICA. “AVEVAMO OPERATO UN CAMBIAMENTO RADICALE SUL PERSONAGIGO DI WADE (adesso è Lambert a parlare) FINO A FARLO DIVENTARE UN BISESSUALE CHE MANTIENE SEGRETO IL SUO PROBLEMA (…) ERA STATA COMUNQUE LASCIATA UNA SCENA (una conversazione telefonica per l’esattezza) CHE IN QUALCHE MODO – VOLENTI O NOLENTI – POTEVA FAR COMPRENDERE A UN ATTENTO OSSERVATORE, L’EFFETTIVA NATURA DEL CONTENDERE”. MA QUANDO SI AVVICINO’ IL MOMENTO DI GIRARLA DAVVERO QUELLA SCENA, “MULLIGAN DIVENTO’ SEMPRE PIU’ NERVOSO, PERCHE’ SECONDO LUI LE BATTUTE ERANO TROPPO ESPLICITE. COSI’ MOLTE FURONO TAGLIATE, RENDENDO IL DIALOGO POCO COMPRENSIBILE”. ALLA FINE L’UNICO FLEBILE ACCENNO DI BISESSUALITA’ FU AFFIDATO A DUE BATTUTE INCASTRATE IN POST-SINCRONIZZAZIONE, DOPO CHE ERANO FALLITI PERSINO I TENTATIVI DELL’AUTORE DEL COPIONE DI DEFINIRE LA COSA ANCHE SOLO VISIVAMENTE (e sparì così per un veto assoluto imposto dalla produzione, pure “l’innocente” presenza di un giovane uomo sulla veranda, dietro a Redford - che qualche indicazione in più avrebbe potuto fornirla - nella scena in cui incontra la moglie sofferente a letto per il suo esaurimento nervoso). Si capirà che con un siffatto “pasticcio”, se quel che è rimasto ha superato di gran lunga la decenza, è davvero un miracolo, in gran parte dovuto alla mano del regista (nonostante i tagliuzzamenti e le incongruenze questa è una delle opere più mature e riuscite di Mulligan) che ha saputo dato un’impronta molto particolare - antirealista direi – a tutta la “densa materia”, riuscendo ad intrecciare senza troppe sdolcinature e con graffiante causticità, set e vita privata, finzione e realtà in questo drammone a fosche tinte ambientato nei ruggenti e depressi anni trenta che narra la storia di una cantante in ascesa, destinata a diventare una diva, oppressa da una madre psicolabile che abbandonerà in manicomio, che non troverà però adeguato conforto appagante nel successo, fino ad arrivare vicino al suicidio, ma che impapererà a trovare poi la forza sufficiente per ricostruirsi e riuscire così a e sopravvivere in uno mondo ambiguo e spietato, cinico e corrotto, nonostante tutto e tutti. Ottima la prova della Wood (anticonvenzionale e insolita la sua resa espressiva): probabilmente una delle interpretazioni di maggior spessore di tutta la sua carriera (nonostante che le prestazioni canore siano state “doppiate” dalla voce di Jackie Ward) e buona la tenuta degli altri attori (soprattutto Ruth Gordon, Plummer e McDowall). Colto nel momento del suo massimo splendore fisico Robert Redford, la cui resa complessiva, risulta decisamente “inficiata” nel risultato da tutti gli impossibili compromessi sopra evidenziati che non rendono possibile una definizione esatta del suo personaggio. Vessato dalla produzione e rimaneggiato a non finire, il film si rivelò un fiasco persino in sala, nonostante il tema e i nomi (Redford e la Wood avrebbero fatto di nuovo coppia l’anno successivo, sotto la direzione di Pollak con esiti più soddisfacenti con “Questa ragazza è di tutti” da Williams), tanto da farlo rientrare ben presto nella nutrita schiera delle pellicole “maledette”. Io francamente avrei preferito che fosse arrivato ad essere incluso in questa “classificazione” per ben altre e più consistenti motivazioni, ma così spesso va il mondo e la strada da percorrere per "togliere il velo dallo schermo" sarebbe stata ancora lunga e impervia (e non ancora del tutto attraversata nemmeno nemmeno adesso che siamo approdati all’anno domini 2006!!!!)
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