Regia di Valentyn Vasyanovych vedi scheda film
Ad Orizzonti di Venezia 76 fa capolino un'opera arty parecchio suggestiva, dall'Ucraina contaminata e irrecuperabile: si tratta di Atlantis, che immediatamente si presenta come sorta di installazione museale, fatta di inquadrature fisse - costante e ripetitiva la struttura fotografica dei tre livelli - e di momenti sperimentali girati con la camera termica, a dare anche l'idea di esseri umani ancora contaminati eppure pieni di calore ed energia. Il protagonista si muove in luoghi derelitti e distrutti, su cui sorgono centrali metallurgiche oscure e terrificanti, quasi cattedrali infernali con fiamme che squarciano il buio della notte uggiosa e radioattiva. Perso il migliore amico suicida, con cui era solito andare a sparare a dei manichini portati appositamente in piccole zone desertiche e disabitate, l'operaio Serhill è costretto pure ad affrontare la perdita del lavoro, causata dalla lenta smobilitazione dell'intera regione. L'idea di una bonifica si rivela sempre più improbabile, e via via che il film prosegue sembra impossibile anche la "bonifica" esistenziale di un uomo che ha perso tutto. Eppure, fra partecipazioni alle operazioni di estrazione di vecchi cadaveri rinvenuti sottoterra e atti di pura umanità, Serhill cerca di portare alla luce quell'energia nascosta che può estrarre solo la camera termica. Fino a quei finali (almeno tre, due di troppo) che dànno una possibilità di salvezza e di speranza in un mondo ingrigito e post-apocalittico.
Il messaggio è chiaro, quasi urlato; le tempistiche destinate alla sua esposizione forse eccessive. Ma Atlantis è uno dei titoli certamente più interessanti dell'edizione 76 del Festival di Venezia. Benché sembri appunto troppo vincolata al mondo festivaliero per poter godere del fascino del grande film universale - come forse vorrebbe essere.
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