Regia di Raymund Ribay Gutierrez vedi scheda film
Venezia 76 – Orizzonti.
A tutto c’è un limite. Anche nelle circostanze peggiori, ossia senza riporre fiducia nella giustizia e alcun valido supporto esterno cui affidarsi, arriva il momento di dire basta, smettendo di tacere al cospetto delle violenze subite. Un atto coraggioso, comunque sia solo il primo passo di una lunga battaglia, che non è detto finisca con un trionfo anche avendo la certezza assoluta di trovarsi dalla parte del giusto.
Come numerose pagine di cinema hanno insegnato, le Filippine non sono certo tra le nazioni virtuose in fatto di equità dei trattamenti, tanto meno sono note per la celerità nella risoluzione dei casi aperti. Con Verdict il catalogo di iniquità e dolore aggiorna l’indice.
Dopo aver subito l’ennesimo pestaggio per mano di suo marito Dante (Kristoffer King), Joy (Max Eigenmann) decide di denunciarlo per la prima volta, anche per tutelare la loro bambina, anch’essa uscita ferita dall’aggressione.
Malgrado i tentativi di Dante per appianare lo scontro ed evitare il carcere, Joy non è disposta a indietreggiare, arrivando a portare la causa davanti a un giudice.
Sotto la supervisione di Brillante Mendoza, cui spetta il ruolo di produttore esecutivo, il regista Raymund Ribay Gutierrez dirige una pellicola avente varie similitudini con il cinema del suo connazionale.
Tanto per cominciare, non perde tempo in convenevoli, lo svolgimento è travolgente e non vi si ritrova un filo di grasso superfluo, come accade in Alpha, the right to kill. Passando alle tematiche, con lo stesso titolo (e non solo) condivide il sentiero accidentato per arrivare alla conquista della giustizia, mentre le donne sono il propellente indispensabile per portare avanti una qualunque azione risolutiva (Ma’ Rosa).
Questi parametri portanti impaginano una storia di ordinaria violenza, purtroppo simile a tante altre, ma orchestrata tramite un fraseggio sfrenato e con tempi di reazione a dir poco tempestivi, ottenuti in virtù di un montaggio di estremo ordine, tale da scandire passaggi anche netti senza inficiarne la costituzione.
Un modus operandi che produce automatismi da fiato sul collo, con una metrica dai nervi a fior di pelle, per un film sulla traumatica lotta per la sopravvivenza delle fasce più deboli, maltrattate da chi si arroga il diritto di menare come un fabbro senza temere conseguenze, perché ogni decisione è nota, così come lo sono le sentenze di chi dovrebbe far rispettare la legge e invece tende a chiudere un occhio.
Concitato, con una deposizione senza peli sulla lingua.
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