Regia di Konstantina Kotzamani vedi scheda film
La raggelante new wave greca già da qualche anno ha tirato fuori dal cappello un’autrice che sì, possiamo definire appartenente a questa sorta di nuovo movimento cinematografico nato dalle scorie di una cultura balcanica incenerita – Yorgos Lanthimos, Alexandros Avranas, Babis Makridis più di recente, etc – ma che sembra rivendicare una certa autonomia, quantomeno un suo gusto personale e unico. Si tratta di Kostantina Kotzamani, il cui Electric Swan è presentato a Venezia 76. Un mediometraggio misterioso, fatto di momenti grotteschi e raggelanti, incastonati nella pellicola da tagli di montaggio che sono frustate. Inizia con delle riprese amatoriali fatte con una videocamera digitale su un lago, a Buenos Aires. Già questo incipit butta nel gioco sensoriale del film il ruolo dell’ossessione scopica, dello sguardo, del pov, che torna poi di soppiatto in varie altre sequenze. Dopodiché si susseguono le presentazioni di alcuni bislacchi personaggi di un condominio, tutti più o meno costretti a interagire con il portiere, misterioso figuro un po’ ambiguo e costantemente osservante il mondo che lo circonda. Il film vive di un senso di costante attesa per un disastro che non potrà mai essere catartico: inquadrature immobili, indifferenza per eventi improbabili, tableaux vivants atti a incorniciare i bizzarri figuri protagonisti. Più gli eventi vanno fuori dal controllo del portinaio protagonista, più si mette in atto una sua regressione dall’umano all’occhio nudo e puro, alla meccanicità di uno sguardo impossibile da redimere. Che quel cigno elettrico, a fine film, sia la stessa new wave greca che si chiede della natura disincantata del suo modo di vedere il mondo?
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