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Life as a B-Movie: Piero Vivarelli

Regia di Fabrizio Laurenti, Niccolò Vivarelli vedi scheda film

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La recensione su Life as a B-Movie: Piero Vivarelli

di Spaggy
6 stelle

Non ha vissuto di rimpianti, Piero Vivarelli, ma di scelte sbagliate. Non si è mai nascosto dietro la facciata del borghese e non ha mai negato relazioni sentimentali o avventure amorose, anche quando sui set dei film che dirigeva potevano creare problemi alla riuscita dell’opera stessa.

Piero Vivarelli

Life as a B-Movie: Piero Vivarelli (2019): Piero Vivarelli

 

Ma chi è Vivarelli, si chiederanno le nuove generazioni? Vivarelli non è facilmente etichettabile. Nato a Siena nel 1927 e morto a Roma nel 2010, ha fatto di tutto e avrebbe continuato a far di tutto se solo la morte non lo avesse portato via nel bel mezzo di un’edizione del Festival di Venezia, rassegna a cui non è mai stato invitato con i suoi film ma di cui è stato di riflesso protagonista grazie a quel geniaccio cattivo di Quentin Tarantino. Per molti, Vivarelli è il re dei film di serie b, è il regista di Il dio serpente (che già dal titolo la dice lunga sul dove si va a parare, ancora prima che Donatella Rettore elogiasse i pregi e i mille usi del Kobra) ed è il revisore della sceneggiatura di Django di Sergio Corbucci. Per altri, invece, è colui che ha provveduto a sdoganare Adriano Celentano al cinema e a scrivergli 24.000 baci, pezzo cult che Emir Kusturica scelse di rivedere per Ti ricordi di Dolly Bell?, suo folgorante debutto. Per uno sparuto gruppo di estimatori, è invece l’esperto di musica che dalle pagine di Big, una sorta di Variety musicale romano, parlava di tendenze, lanciava mode e provvedeva, come ricorda il produttore David Zard, a spingere per il primo mitico concerto dei Led Zeppelin in Italia. Per le mogli, le compagne, gli amici e chi ha avuto modo di conoscerlo direttamente, Piero è colui che sentiva la necessità di non fermarsi mai, né sul lavoro né in amore.

Il suo flusso di attività e di vita è ben raccontato in Life as B-Movie dai registi Fabrizio Laurenti e Niccolò Vivarelli che, come nella migliore delle biografie d’archivio, partono dai primi anni di Vivarelli per arrivare fino alle sue passioni ultime per Cuba e per il paracadutismo. Figlio della X Fottiglia MAS a cui aderì giovanissimo spontaneamente, non rinnegò mai il suo passato fascista anche quando faceva parte con Lucio Fulci e Sergio Corbucci del cosiddetto marciapiede sinistro di Via Vittorio Veneto a Roma, regno di sinistroidi e prostitute. Appassionato di cinema sin dall’età di sette anni quando si innamorò di Shirley Temple sullo schermo, Vivarelli si rivelò anticonformista persino nel momento del matrimonio con Enza Minervini, presentandosi dentro a un cappotto grigio pur di non appiattirsi al voler comune. Precursore dei tempi, riesce a mettere in scena nei cosiddetti musicarelli con Fulci, I ragazzi del juke box e Urlatori alla sbarra, diverse generazioni di rock, passando da Dallara a Celentano con nonchalance, ed ebbe il merito di capire a quale strada da lì a poco, negli anni Sessanta, avrebbe condotto il divario tra giovani e vecchi e di giocarci sopra, inventando il videoclip (basti vedere la sequenza in Urlatori alla sbarra di Il cielo in una stanza cantata da Mina), lanciando la vita notturna (si dice che casa sua fosse soprannominata il Vivi Club: qui si tirava ogni notte fino alle 4 del mattino e facevano capolino nomi insospettabili dell’intelligentia) e bypassando l’idea di mito (barzellettistici sembrano i siparietti sul set, sempre di Urlatori alla sbarra, con un mito come Chet Baker).

Intuendo in anticipo la morte del musicarello che più tale non era, diresse opere tra loro molto diverse: Oggi a Berlino finì vietato sia dalla Germania dell’Est sia dalla Germania dell’Ovest per la carica politica sovversiva ma rappresentò anche un’occasione mancata per via di quanto avvenne fuori dalle scene, dove il regista ebbe una doppia relazione parallela con le attrici protagoniste (si dice che Nana Osten non reagì bene al tradimento); Il vuoto, censurato per via di una sequenza ritenuta dalla commissione censura fin troppo erotica, mancò la partecipazione in concorso a Venezia per un incidente automobilistico al produttore; e Rita, la figlia americana smise di essere musicarello per trasformarsi in commedia musicale contrassegnata dalla presenza beat generation, dal pop della Pavone e da un Totò malinconicamente yé-yé.

Ricorda con un intervento realizzato prima della sua morte il maestro Umberto Lenzi come il cinema di Vivarelli abbia contribuito in maniera considerevole al cinema d’autore italiano di quegli anni. Gli incassi dei b-movies finivano dai produttori reinvestiti nelle opere di Antonioni o Fellini, capolavori che a fronte degli apprezzamenti della critica non portavano molto a casa in termini di soldoni. Venduti all’estero, i b-movies di Vivarelli andarono incontro al più grande dei successi con Django, di cui Franco Nero e lo sceneggiatore Franco Rossetti ricordano la genesi: Corbucci convinse i produttori a girare avendo in mente solo la sequenza di apertura. Toccò poi a Vivarelli e Rossetti, con un gioco di domande a ritroso, partire dal finale (le dita mozzate, in omaggio al musicista Django Reinhardt) per creare una storia, che sarebbe poi rimasta negli annali del cinema dei cinque continenti.

Dopo Mister X e Satanik, che sfruttavano il successo dei fumetti e dei film spionistici (un autorevole quotidiano francese scrisse che con le trovate del secondo si potevano realizzare almeno tre film di 007), Vivarelli ebbe la svolta che segnerà il resto della carriera. Erano gli anni del documentario erotico all’italiana, quello che andava fuori dai confini a mostrare spogliarelli, donne esotiche e momenti di sollazzo. Nacque così Il dio serpente, a cui stretto giro fecero seguito Il decamerone nero e Emmanuelle in America, la cui protagonista si ispira in fase di scrittura niente meno che a Oriana Fallaci, amica intima di Vivarelli nonché sua vittima preferita di scherno e maltrattamenti durante le notti del Vivi Club.

Contemporaneamente alla svolta erotica, la sua sfera privata prese una piega imprevedibile. Sposò l’attrice Beryl Cunningham, ebbe un figlio dalla relazione con Veronique Chesnell (la ballerina del Piper, spesso in scena nei musicarelli nelle sequenze di ballo collettivo) che la Cunnigham crebbe come suo e fu vittima di un incidente d’auto, che cambiò per sempre la percezione che aveva della vita stessa (la Cunningham perse per sempre l’uso delle gambe). Gli eventi finirono raccontati in Nella misura in cui…, l’opera più biografica che abbia mai scritto in vita.

Come se ciò non bastasse, qualche anno dopo Alessandro Minervini, il figlio avuto da Enza visto come attore in Mediterraneo, morì a causa della dipendenza dall’eroina, e Vivarelli sembrò quasi non riprendersi. La circostanza diede il colpo per una nuova svolta: mentre girava La rumbera a Cuba nel 1998, ebbe una sorta di catarsi cattolica, avvicinandosi a Dio e rimanendo in quella che per lui rappresentava la terra della libertà. Cuba gli rese omaggio considerandolo al pari del più importante degli intellettuali, tributandogli quegli onori che in Italia non arrivarono mai. Gli ultimi periodi della sua vita li trascorse poi a contatto con una paracadutista: desiderava trasformare la sua antica passione in film ed esperienza, manifestando la voglia di effettuare un lancio.

Con interventi registrati dello stesso Vivarelli, Life as a B-Movie offre un quadro a tutto tondo dell’uomo e dell’artista. Tra i tanti ricordi, manca però un tassello che sarebbe stato interessante conoscere: l’incontro sul set con il genio di Moana Pozzi in Provocazione, pellicola più rimossa che omessa dagli autori dal documentario ma che tanto piace ancora oggi al pubblico televisivo.

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