Regia di Simone Isola, Fausto Trombetta vedi scheda film
"Muoio come uno stronzo e ho fatto solo tre film": quando si autodefinisce con estrema sintesi ricorrendo alla colorita espressione, Claudio Caligari sta parlando con Valerio Mastandrea, colui che da produttore più di ogni altro si è speso per la realizzazione di Non essere cattivo. Mancavano pochi giorni e, per via del cancro, Caligari sarebbe morto senza vedere l’ovazione che il Festival di Venezia nel settembre del 2015 gli avrebbe riservato. Considerata da tutti come la sua opera testamento, Non essere cattivo e, soprattutto, il suo making of forniscono l’occasione per ripercorrere il lavoro e la vita di un regista da sempre restio alla mondanità, alle interviste e a tutti quegli aspetti glamour che rendono il cinema una macchina. L’idea di cinema di Caligari è abbastanza chiara: serve come medium per raccontare l’autenticità e restituire personaggi, reali, che sarebbero altrimenti rimasti ai margini della società o tra i trafiletti della cronaca locale.
Se c’è un aldilà sono fottuto non è però il classico lavoro agiografico a cui si può pensare. Si tratta infatti di un ibrido che mescola backstage, estratti video e interviste, per ricostruire il percorso di un autore che a fronte di decine e decine di sceneggiature scritte ha potuto realizzarne ben poche a causa di una macchina produttiva, italiana e non solo, malata e propensa più al fatturato che all’opera in quanto tale. Non è un caso che il lavoro di Simone Isola e Fausto Trombetta si apre con la famosa lettera che nel 2014 Mastandrea scrive a Martin Scorsese, chiedendo il suo intervento per raccogliere i fondi necessari a Caligari per lavorare e mettere in pratica ciò che sapeva fare meglio: raccontare. Studente sin da piccolo taciturno e propenso alla solitudine, Caligari – come ricordano con malinconico affetto la madre Adelina Ponti e il compagno di elementari Nicola Pankoff – non era prodigo di parole ma adorava pensare e, grazie alla più filosofica delle attività della psiche umana, entrò presto a contatto con gli ambienti dei movimenti studenteschi, realizzando i primi cosiddetti documentari sociali come La parte bassa (di cui si possono rivedere, finalmente, degli estratti) del 1978. L’incontro qualche tempo dopo con Guido Blumir, sociologo che studiava il problema degli stupefacenti e della loro diffusione sui giovani delle periferie, lo portò a mettere in piedi Amore tossico. Per Amore tossico, che ha debuttato in maniera fulminante al Festival di Venezia e che è stato fonte di una storica lite tra il regista Marco Ferreri (sostenitore, anche finanziario, del film) e il critico Tatti Sanguineti, Caligari scelse attori non professionisti selezionati tra gli eroinomani della nuova Ostia, territorio simile a una giungla urbana in cui neanche le forze di polizia osavano avventurarsi. Con una sceneggiatura in continua evoluzione, un occhio al cinema di Pasolini e un medico che ogni mattina portava metadone sul set, Amore tossico si rivelò una volta ultimato tanto osannato dal circuito festivaliero tanto ostracizzato dalla distribuzione. I suoi protagonisti, uno dietro l’altro, morirono per le conseguenze della droga (a partire dal protagonista Cesare Ferretti, uno tra i primi in Italia a perire di Aids) e del cast originario sopravvivono solo Michela Mioni e Pamela Schettino, meglio nota come "Er donna", che Spada e Trombetta fanno incontrare nuovamente a distanza di decenni.
Come ha modo di sottolineare la Mioni, recatasi sul set di Non essere cattivo il primo giorno di riprese, Caligari considerava la droga come simbolo di potere e mezzo per la rappresentazione della realtà. Non per niente, laddove Amore tossico raccontava della diffusione dell’eroina, Non essere cattivo parlava di effetti dell’uso delle droghe sintetiche. I due titoli, comunicanti e associati da un omaggio che il regista rende a se stesso (con la mitica sequenza del gelato ripetuta in maniera identica nelle due opere), sono dunque uno spaccato sociologico e crudo di quanto le periferie siano i veri cuori pulsanti dei centri urbani, luoghi in cui la criminalità piccola o grande che sia pone le basi per estendere le sue radici. Periferici, nella filmografia di Caligari, erano anche i protagonisti di L’odore della notte, seconda opera arrivata a distanza di quasi trent’anni dal debutto e tratta da un’incresciosa vicenda di cronaca.
I dibattiti seguiti ad Amore tossico, i processi televisivi e gli articoli di giornale, non furono però molto utili a Caligari per realizzare ciò che avrebbe veramente voluto. I ricordi di chi lo ha conosciuto ci dicono che all’epoca chiunque gli diceva che da quel momento in poi avrebbe potuto fare quello che voleva. La realtà fu però diverse: le porte dei produttori non si aprivano mai per il regista e i suoi progetti venivano cassati ancor prima di essere valutati. Si dice che Caligari tra i primi suoi due film abbia scritto qualcosa come 30 sceneggiature, tutte finite nel dimenticatoio, e che non abbia mai perso la speranza di tornare a dirigere: oculato nelle spese, era consapevole anche che il suo cinema non lo avrebbe mai fatto arricchire. Le cose non andarono meglio neanche prima di Non essere cattivo: il regista, originario di Arona, vide naufragare Anni rapaci, copione in cui narrava dell’ascesa del potere della mafia calabrese a Milano dagli anni Settanta agli anni Novanta, e l’idea di trasporre il libro scandalo Ho 12 anni, faccio la cubista, mi chiamano Principessa di Marida Lombardo Pijola. Simbolico è proprio quest’ultimo progetto: la scrittrice avrebbe ceduto i diritti, contesi da più parti e produttori, solo se dietro la macchina da presa ci fosse stato Caligari. Inoltre, Caligari con il suo sguardo da precursore avrebbe anche diretto volentieri Romanzo criminale, il film poi affidato a Michele Placido.
La ricostruzione della vita e della carriera di Caligari è ovviamente intervallata dall’intervento di produttori come Marco Risi, di sceneggiatori come Giordano Meacci e Francesca Serafini, di direttori della fotografia come Maurizio Calvesi o di montatori come Mauro Bonanni, ma le parole più significative vengono dagli attori professionisti che Caligari ha diretto. Valerio Mastandrea (divenuto con il tempo sua voce e suo sostenitore, in un continuo scambio di ruoli), Marco Giallini, Giorgio Tirabassi, Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Roberta Mattei e Silvia D’Amico, ad esempio concordano su quanto fondamentale per loro sia stato trovarsi Caligari sul loro cammino, accontentare la sua rigidità, rispettarne i silenzi, apprezzarne l’ironia, apprenderne la maestria e cercare di carpirne la voglia di fare, nonostante la malattia che ha accompagnato il suo ultimo set. Marinelli e Borghi, in particolare, ricordano come il primo giorno di set di Non essere cattivo Caligari li odiasse per quello che erano stati chiamati a fare: omaggiare Amore tossico senza che fossero i protagonisti di quel film. A distanza di anni, ricordano a memoria battute e situazioni (abile è il montaggio del documentario, in grado di passare dalle interviste agli spezzoni di film al making of facendoli dialogare e senza rompere il ritmo della narrazione). Che poi il cinema italiano sia malato è ben altra storia.
Trailer "Se c'è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari" di Simone Isola e Fausto Trombetta from Kimerafilm srl on Vimeo.
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