Regia di Andrej Andreevich Tarkovskij vedi scheda film
film diviso in più sezioni e un epilogo, raccoglie cronologicamente e tematicamente materiali spesso inediti, fotografici e video, dall’infanzia alla fine nei vari luoghi della vita del regista.
“Un lavoro encomiabile di ricerca e di organizzazione dei materiali… Lo studio, il lavoro, pregevole, condotto sui materiali, si fa intenso e ricco, ma posto a quella distanza che lo rende sempre oggettivo, mai soggettivo, dalla parte del suo autore. Il film non ne resta diminuito nel suo valore documentale, ma impoverito sotto il profilo “spirituale” di quando lo sguardo non vuole diventare traduttore di sentimenti.” (da Sentieri Selvaggi)
Partiamo da questa premessa critica perché traduce bene il sottile disagio provato durante la visione e ne coglie le ragioni.
Forse parlare di Tarkovskij è impresa troppo complessa per non correre rischi, forse di un artista bisognerebbe sempre che parlasse solo la sua opera lasciando da parte il suo mondo effimero e transeunte, e dunque per conoscere a fondo Tarkovskij continuiamo ad affidarci ai suoi film.
Il lavoro del figlio è “encomiabile”, chi non conosce Tarkovskij ne ha un’idea e informazioni sufficienti, a chi lo conosce non dice molto più di quanto non sappia.
Il film è una compilazione molto ben assemblata, tanti materiali inediti ne accrescono il pregio, elegante il formato con una pregevole base sonora e l’accompagnamento di letture di brani poetici di Arsenij Tarkovskij, il padre poeta che ha segnato la strada di Andrej verso la poesia.
Interessante il filo rosso del pensiero del regista che si snoda attraverso le sue parole, spezzoni da film, backstage, riprese sul set e foto domestiche.
Il ritratto di uno dei più grandi registi del cinema mondiale ne esce a bassorilievo, sarebbe stato preferibile un tutto tondo, ma per far questo c’era bisogno di lui in persona.
Andrej A. Tarkovskij figlio, nato a Mosca nel 1970, sta dedicando la sua vita al padre, alla conservazione e alla promozione della sua opera.
Vive tra Firenze, Parigi e Mosca ed è presidente dell’Istituto Internazionale Andrej Tarkovskij con sede a Firenze. Regista e documentarista, organizza mostre fotografiche, edizioni di libri, concerti e retrospettive in tutto il mondo.
Ha diviso il film in più sezioni e un epilogo, raccogliendo cronologicamente e tematicamente materiali spesso inediti, fotografici e video, dall’infanzia alla fine nei vari luoghi della sua vita.
La parola è lasciata al regista stesso, il film è sottotitolato, e ricordi, riflessioni sull’arte, sul cinema, sull’uomo, sulla vita si susseguono in un crescendo armonioso, a ricostruire un ritratto fatto con l’affetto e la dedizione di un figlio innamorato del padre.
Russia, Svezia e Italia, patria adottiva dell’artista, sono il teatro di una vita eccezionale, il padre Arsenij amato e lontano fin dall’infanzia, la madre dolcissima innamorata senza fine del marito, gli amari inverni russi, la fame e la guerra, le persecuzioni e l’esilio volontario.
E poi i dolci colli toscani, le buone persone che l’hanno accolto, la malattia che l’ha portato via tanto presto, giusto il tempo di lasciarci sette capolavori.
E le sue parole, il cinema come preghiera, perché il cinema non è filosofia. Che a Sartre piacesse mentre dal Cremlino lo avrebbero buttato giù nel fiume che scorre sotto quei palazzi non gli importava, il cinema non è filosofia, diceva, il cinema è poesia, è “ scolpire il tempo” con le immagini, e perciò è l’arte del ‘900, il secolo dominato dal tempo, dalla corsa del tempo.
“Se rinascesse oggi qualcuno vissuto nei secoli precedenti – diceva -soffocherebbe”, oggi il tempo crea una pressione incontrollabile sull’uomo e solo l’arte, e soprattutto il cinema, può domarlo, “scolpirlo”, farne una preghiera, l’unica che abbia senso per l’uomo recitare.
Riascoltare le parole di Tarkovskij accompagnate da immagini, assistere alla comunione di senso tra il suo cinema e la poesia del padre Arsenij, è dunque un’esperienza comunque avvincente, se il film non supera la soglia del documentario e suona troppo disciplinato mancando un po’ di cuore non gliene vogliamo, c’è sempre il bel ricordo di Tonino Guerra da rivedere che racconta di quando Tarkovskij, in Toscana, guardava le zolle brune della terra arata e ricordava la Russia, “perché la terra arata è uguale dappertutto “.
A volte basta una piccola pennellata così per fare un grande ritratto.
Tonino Guerra e Tarkovskij
https://www.youtube.com/watch?v=d0Tvqr-KnrU
www.paoladigiuseppe.it
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta